"Perché una realtà non ci fu data e non c'è; ma dobbiamo farcela noi, se vogliamo essere; e non sarà mai una per sempre, ma di continuo e infinitamente mutabile"

(Luigi Pirandello)

giovedì 24 dicembre 2009

Auguri senza se e senza ma... però con un tocco light: torta cacao, pere e cannella senza grassi aggiunti (con gustose variazioni a seguire)

Sì, lo so... Ho fatto quella lunga riflessione sul Natale, su come non lo sento e come non ne concepisco la portata, e adesso me ne vengo qua bel bella a porgervi i miei più caldi auguri. Un tantino incoerente eh? 
Non so se per dare un significato a questo, e al fatto che sono sempre caduta preda dell'usanza del "regalo a parenti-amici-conoscenti" e per giustificarmi ai miei occhi di atea integerrima, mi piace pensare a questi giorni di feste comandate (comandate da chi a proposito? chi è che comanda le feste? Da piccola pensavo che questo termine si riferisse allo Stato, perchè lo Stato disponeva che tutte o quasi le attività lavorative cessassero... ma adesso ho meno sicurezze di quel periodo di lieta fanciullezza, e una maggiore capacità di perdermi dietro alle parole, e questo comando non risulta più tanto scontato... ) come un pretesto per fare semplicemente gli auguri ai miei più cari, alle persone cui sono affezionata, alle persone in generale.
L'augurio non si limita, una volta fatto, al solo Natale. O meglio, negli ultimi anni i miei lunghissimi bigliettini di auguri (prolissi più o meno come le premesse che faccio alle ricette, avete presente?  ) si riferivano ad un più ampio contesto, a quello della vita intesa come campo di aspirazioni, di desideri, di speranze, di volontà; a tutto quello che vogliamo o che speriamo di realizzare, ai nostri sogni, a quello per cui stiamo lottando o lotteremo o vorremo lottare. Oppure l'augurio di trovare la forza d'animo per farlo.

Perchè limitarmi a fare gli auguri per una festa che non condivido?

Alla fine, non faccio che essere fedele alla resa etimologica del termine augurio stesso , 'Augurio ': l’aùgure, in latino  'àugurem ', era un sacerdote indovino che cercava di prevedere il futuro osservando e interpretando il volo degli uccelli o i sogni, ed era molto stimato dalla gente. La parola  'àugurem ' deriva da  'àugere ' che significa “aumentare”, probabilmente perché questo sacerdote era di solito ottimista e veniva considerato “la persona che dà l’accrescimento” insomma che dà qualcosa di positivo, di buono, che fa crescere, cioè “colui che dà presagi favorevoli”. La parola  'augurare '  deriva dal latino  'augurare ' che voleva dire “fare il lavoro di augure”, quindi “preannunciare notizie”, che, come abbiamo visto, erano di solito buone. Perciò quando noi, pur senza essere veggenti, facciamo gli auguri a qualcuno, in un certo senso gli prediciamo che gli succederanno tante belle cose.


E allora auguri cari miei. A tutti i colleghi blogger che mi leggeranno, ma anche a chi "non-blogger" passerà di qui perchè traviato da chissà quale motore di ricerca (il solito caro, vecchio Google per dirne uno). Auguri per tutto quello che volete, sperate, lottate, cercate. Auguri perchè quest'anno che sta per cominciare possiate ricordarlo come complessivamente positivo. Auguri perché possiate fiorire instancabilmente nella realizzazione piena di ciò che volete essere.
E AUGURI (già che ci siamo, non stona mai) per un'Italia più nuova, in cui la libertà di pensiero di parola di espressione non debba essere rivendicata come un privilegio ma sia semplicemente una cosa ovvia. Auguri a noi, perché continuiamo ancora a dire la nostra, a esprimerci in ciò che vogliamo, e perché abbiamo trovato Internet come canale di - per ora, almeno- piena libertà.

Come dolce augurale, vi lascio questa torta che mi piace definire light, così da non dovermi sentire in colpa nel dopo-Natale quando tutti, oberati da feste festini e cenoni, torneremo a fare i conti con la pesante realtà  : l'ha scoperto mia madre su Giboncook, anche se -ironicamente- già da un paio d'anni ne avevo scoperta una versione in pratica identica su Gustosa...Mente, limitandomi ad archiviarla come un'"eccentrica ricetta" a cui col passar del tempo non avevo più pensato (questa coincidenza l'ho scoperta per puro caso, spulciando nell'archivio annoso di ricette nel faticoso tentativo di ordinarlo).
Lode a mia madre che l'ha scoperta per altre vie! Si tratta di una delle più meravigliose scoperte culinarie dell'anno (che nel complesso è stato tutto meno che positivo, ma che quanto meno ha profilato una serie piuttosto cospicua di "scoperte culinarie" che hanno riempito la mia mente e addolcito il mio palato). E' una torta decisamente cioccolatosa con una caratteristica che mi permette di spacciarla come light, nonostante la grande quantità di cacao: non è previsto l'uso di grassi - né saturi né insaturi, né di origine animale né di origine vegetale- né di uova. 
Questo non inficia la riuscita della torta, che è perfetta e golosissima... non troppo dolce, è perfetta anche per la colazione (oltre che per ogni altro momento della giornata, è chiaro  )



Con questa ricetta partecipo alla raccolta di Gaijina In Forma Con Gusto

 



nb piccolino che spero non rovini l'atmosfera augurale: In questi ultimi periodi blogger mi da' dei fastidi. Dal post sulla torta di uva e cipolle ho aggiornato abbondantemente, ma gli aggiornamenti non sono registrati da nessuna parte, a parte ovviamente sul blog stesso... Né sui blog che mi hanno tra i preferiti né nei programmi di aggregazione di blog, come Il bloggatore, a cui sono registrata... 
Non mi sembra di aver fatto niente per alterare il labile equilibrio su cui si regge il mo blog quindi non so cosa fare, come intervenire... avete mica idee o ipotesi da proporre? 



Non c'è epoca dell'anno più gentile e buona, per il mondo dell'industria e del commercio, che il Natale e le settimane precedenti. Sale dalle vie il tremulo suono delle zampogne; e le società anonime, fino a ieri freddamente intente a calcolare fatturato e dividendi, aprono il cuore agli affetti e al sorriso.
 (Italo Calvino: "Marcovaldo)



 
Torta con cacao, pere e cannella (senza grassi aggiunti)



venerdì 11 dicembre 2009

Pensiero pseudo-natalizio per un piatto di umili origini, la miascia e la versatilità più folle...

Anche a volerlo ignorare, mi si infila ovunque: su Internet, in televisione, alla radio, nei discorsi con la gente... e persino, sì lo ammetto, nei miei pensieri. Tranquilli, non sto parlando di Berlusconi... stavolta.
Ce ne sarebbero di cose da dire, ovviamente...  Sia chiaro, mica solo su di lui (anche se lui ne occuperebbe gran parte)... ma di una generale situazione dell'Italia, che coinvolge il governo, il Vaticano, la questione della RU486, una più generica volontà di negare la libertà, la possibilità di scegliere, di discernere, persino di capire (ma l'avete sentita quella pazzia proposta da Quagliarello, Bianconi e Gasparri di estendere la capacità giurica al concepito - qualunque cosa si possa intendere con questo termine- dichiarando la volontà di voler così TUTELARE la 194 sull'aborto? ma siamo matti?! estendere all'embrione, al nascituro, la stessa tutela morale del nato significare negare in sé la possibilità dell'aborto quale che sia... anche l'aborto spontaneo tra l'altro...  )

Ma non è di questo che voglio parlare oggi... sono piuttosto di buonumore, stranamente, e non voglio dovermi incupire.
Nell'incipit mi riferivo al Natale.
Come forse sapete meglio di me, la fatidica data si sta avvicinando, ed il suo martellante memento ci risuona nelle orecchie da un mese a questa parte. In sé non ho niente contro la festività natalizia... In quanto atea sono insensibile alla sua significazione religiosa, che pure credo sia essenziale, poiché è il 25 dicembre che è venuto alla luce Gesù, o meglio Cristo, su cui si fonda- lo dice anche il nome- la religione cristiana nel suo complesso.
Se Cristo non fosse nato - dato ex hypotesis che sia effettivamente esistito un tale (o più d'uno) che si faceva chiamare Gesù, o Cristo, e che se ne andava in giro a dichiarare di essere figlio di Dio e a far prediche encomiabili sulla fratellanza e l'amore - la religione cristiana non sarebbe mai esistita. Una disgrazia, forse. O forse una fortuna, per chi considera retrospettivamente tutte le stragi e le umiliazioni compiute in suo nome... anche se indubbiamente se non ci fosse stata la religione cristiana, qualche altra predica sarebbe stata trovata per servire da strumento del potere.
Io non ce l'ho con la predica cristiana, sia chiaro. Gesù ha detto cose meravigliosamente rivoluzionarie per i suoi tempi, parole che hanno sollevato per secoli i miserabili e i poveri, ciò che nessuno aveva mai detto (o promesso) loro. Che sia esistito o no, ha dato voce a valori straordinariamente umani, che non sono solo dote dei cristiani ma di ogni essere umano che obbedisce all'impulso empatico e simpatico che gli è proprio per natura. 
Ciò che critico è l'uso che è stato fatto della religione cristiana dagli altri uomini. A questo si deve la mia acidità. E questo mi da' fastidio del Natale, anche, oltre al fatto che è diventato una frettolosa e affannata rincorsa al consumo, all'acquisto, all'avere di più e a mostrare di più: il fatto che è un pretesto per gli uomini del Vaticano di dichiarare la specialità dei valori cristiani che in quanto tali sono universali, di parlare ipocritamente di umiltà, di povertà, di "dare al prossimo", quando loro tutto pensano meno che a questo, quando le banche Vaticane sono tra le più ricche del mondo! 
Mi da' fastidio un gran sentire parlare di solidarietà, di fratellanza, di uguaglianza, di amore, con così grande insistenza nel periodo di Natale... ma queste non sono cose ovvie?! Che dovremmo ricordarci sempre, ogni momento del nostro esistere? o che dovrebbero essere così scontate da non dover essere nemmeno ricordate...
Certo, direte voi, meglio ricordarle una volta l'anno che mai, e questo è vero.  Da piccola ho festeggiato il Natale, anch'io... certo... anche quando ho cominciato, verso i dieci/undici anni (il periodo in cui è cominciato il mio interrogarmi sulla morte, sulla divinità, sul mio rapporto con essa e con il mondo), ad avere dubbi di coerenza al riguardo, cominciando ad interrogarmi sulla correttezza che io, che mi dichiaravo atea, festeggiassi la festa cristiana per antonomasia. Ma prima questi dubbi non c'erano: mi piaceva l'aria natalizia, gli odori del Natale, mi piaceva che in quel periodo io (e quando era più grande, anche mia sorella) eravamo a casa da scuola e mio padre dal lavoro, adoravo addobbare l'albero con le più bizzarre decorazioni, mi piaceva fare il presepe e giocarci (me lo ricordo ancora, c'erano più pecore che persone!), adoravo la sorpresa della mattina di Natale anche quando ho capito che Babbo Natale non esisteva. Cantavo anche le canzoncine natalizie, credo di averle sapute quasi tutte... anche se da subito - almeno, da quando ho memoria- il contrasto tra le dichiarazioni in esse contenute (è Natale, non si soffre più) e la realtà effettiva, mi creava un certo disagio. Ma accettavo la licenza poetica e continuavo a cantare.
Crescendo il Natale ha perso di senso, come è svanita l'eccitazione del presepe, dell'albero di Natale, dei regali. Con l'inizio dell'università, poi, non è stato nemmeno più motivo di gioire per un periodo di assenza di impegni, perché è anzi in quel periodo che gli impegni si intensificano, in vista degli appelli di gennaio/febbraio.
La festa in sé è da anni che mi è del tutto indifferente, se non fosse per quelle facce del Vaticano che hanno sempre da sblaterare qualcosa... anche se a ben pensarci per una volta lo fanno a ragione, visto che è la loro festa questa, non la mia. 
E poi adesso ha assunto un odore nuovo... l'odore aspro e malinconico dell'anno che se ne va, con tutto quello che ha comportato, tutte le scoperte le novità i litigi i fallimenti i pentimenti i fallimenti... credo sia naturale fare un bilancio dell'anno che sta finendo. Forse sperare nel prossimo. 
E quando la bocca me la voglio addolcire, piuttosto che ripensare a quest'anno 2009 che si sta chiudendo - che di dolce ha avuto ben poco- preferisco tornare indietro... indietro... a quando il Natale era altro, era festa. Quello di cui parlavo sopra, la bellezza dei Natali dell'infanzia. 
Prima che arrivasse la dannata consapevolezza di sé, delle proprie convinzioni, idee, aspirazioni, prima che dovessi risponderne io di tutti i miei atti, e pagarmele totalmente le mie responsabilità...
Non dico che questo non sia un prezzo accettabili per acquisire quello che è, perdonatemi il termine, il "diventare grandi", o almeno il "provare a diventare grandi". Ma a volte vorrei tornare indietro, quando non avevo da rispondere completamente di ogni errore fatto, quando avevo meno pensieri, meno dubbi, meno responsabilità.
A quando ci credevo, un po', che magari all'inizio Natale era una festa per i poveri e gli umili, e non questa brutta mostra di consumismo che ogni festa è diventata. E in nome di un'umiltà decantata dalle più alte cariche ecclesiastiche che nei fatti la negano, vi propongo questa ricetta qua. 
Ha una genesi quasi ridicola. Quest'estate i miei genitori si sono fatti una bella vacanza di una decina di giorni, lasciando in casa me e mia sorella sole: sono stata padrona quasi indiscussa della cucina per tutto quel periodo . A un certo punto mi sono ritrovata di fronte ad una questione tragica di "avanzi": oltre a dell'uva che stava assumendo variazioni cromatiche inquietanti, mi si presentò il problema di come utilizzare tre pagnotte di pane pronte già da prima che i miei partissero e che io e mia sorella avevamo a malapena toccato (mi ero sbizzarrita con risotti, paste al forno e sfornato interessanti panini, e il pane "comune" era passato un po' in secondo piano ).
Potevo seguire la tradizione familiare per riciclare il pane: una sana pappa col pomodoro, oppure la classica panzanella. Ma in un impeto emancipazionista, volli essere un minimo originale: ho pensato anzitutto ad una torta salata di pane raffermo e pomodori ispiratami da Marsettina e che prima o poi - spero prima- vi proporrò (pur non essendo stagione di pomodori questa... ma l'ho archiviata da tanto nelle ricette da pubblicare, già corredata di foto); poi ho pensato che io e mia sorella non ce l'avremmo mica fatta a finirla tutta in pochi giorni e rischiava di non essere più buona e di doverla buttare ...  E spulciando su Internet ho trovato questa qua: una torta povera originaria della zona di Como, utile per riciclare il pane raffermo e la frutta non più freschissima. 

Ottimo per il mio pane e il grappolo d'uva decadente! Ho consultato tantissime ricette trovate qua e là su Internet, tanto che non so indicare una fonte precisa: l'idea e il nome della ricetta l'ho avuta però da FraGolosi. La mia ricetta, fin da subito, è stata diversa da quella (per poi subire ulteriori miglioramenti col passare del tempo e delle prove), ma è su FraGolosi che ho scoperto l'esistenza di una torta di pane raffermo e frutta che si chiama miascia.




Una ultima essenziale precisazione: la miascia è un dolce povero che serviva a riciclare il pane secco. Non c'è una versione ortodossa ed esatta, né una indicazione dogmatica riguardo alla frutta contenuta. Per dirla in maniera semplice, la gente ci metteva un po' quello che aveva in casa: la frutta di stagione disponibile, frutta secca, cioccolato, liquore... Io vi do' la versione che ho fatto io le prime volte, ma vi sto semplicemente suggerendo una base, un'idea, per usare il pane raffermo e della frutta non eccellente, qualunque essa sia.



Con questa ricetta partecipo alla raccolta di Vale Il pane secco... non si butta 


 




 Quel povero vecchino...

Sobbalzai...

           Ero io?...

Era Dio?... 

              Solo 
nel buio Sottopassaggio,
straziava il suo magro violino...
Per chiedere la carità?...

(D'un soldo?

                Di che altro?...

                                    Chissà. Forse
di un grano di pietà?)

(Giorgio Caproni: "Res Amissa")




Miascia



















mercoledì 2 dicembre 2009

L'apparenza e l'apparire... Nella vita quotidiana come in cucina: biscotti al cocco e cioccolato e la raccolta di Micaela

Quante volte ci siamo sentiti dire, fin da bambini, di andare oltre l'apparenza? Di non giudicare in relazione a quanto avevamo di fronte agli occhi? Di imparare a guardare oltre?
Come se l'oltre fosse migliore. Come se al di là ci fosse qualcosa di più bello da vedere. O di più vero. Come insegna un vecchio motto, "l'apparenza inganna"... 
Eppure perché caricare il termine apparenza di un valore tanto negativo? Alla fine, l'apparenza è ciò che appare, e perchè ciò che appare è in sè negativo? ciò che appare è il fenomeno, è ciò che ci si manifesta esternamente, è ciò che è colto dai nostri sensi... e questo, di per sé, lo bolla come sbagliato? 
C'è un retaggio antico, credo, nella tendenza a bollare l'apparenza di sbagliato, di inadeguato, di falso: è un rimando a una sostanza, a una verità, a un Essere, che si cela dietro ciò che possiamo cogliere e toccare. Una forma, un'essenza, un qualcosa-di-più che i nostri sensi non possono afferrare.
Parmenide, Kant, Schophenahuer, per dirne tre (i primi, probabilmente i più banali, che mi vengono in mente) hanno posto una realtà più vera al di là di quella che ci tocca; per quanto Kant sapesse che la realtà fenomenica è l'unica con cui abbiamo concretamente a che fare, non ha potuto fare a meno di postulare, perchè di questo si tratta, un noumeno, una "cosa in sé" al di là del percepibile.
Schopenhauer e Parmenide consideravano il fenomenico un inganno, o comunque una falsità. L'Essere di Parmenide era oltre l'apparire, e la Volontà di Schopenhauer al di là del fenomenico velo di Maya.
Ma quanti esempi mi potreste trovare, di pensatori, filosofi, scrittori, o che so io, che hanno posto l'apparenza come ciò che cela il vero? E' come se l'uomo avesse paura di ciò che gli sfugge e volesse fissarlo in qualcosa di immutabile.
Anche se a volte non posso negare che ciò che definiamo apparenza, e che è tutt'altro dal semplice fenomeno, inganna. A un livello più modesto di tutte queste grandi proflusioni sull'Essere reale che sta dietro un velo ingannatore. Sostengo fieramente che la realtà vera è quella che esperisco e che posso mostrare e dimostrare... anche se certe entità di cui psotulo l'esistenza, come gli atomi ad esempio, potrebbero far vacillare questa mia fiera convinzione...
A un livello di puro fenomeno l'apparenza - ciò che viene mostrato anzitutto- può ingannare perché nasconde altro, lo cela, non ce lo fa conoscere. Propone un qualcosa di diverso dalla realtà effettiva, e in questo inganna.
Troppo spesso ho assunto certi atteggiamenti per non far conoscere com'ero, come sono, davvero. Spesso dobbiamo farlo in considerazione delle circostanze, a volte perché il modo in cui ci sentiamo non ci piace.
Ma nascondere la nostra polvere sotto il tappeto non serve a disintegrarla. Qualcuno mi disse che a forza di fingere si può incidere su ciò che effettivamente siamo, e forse è vero, perché ci si abitua a tutto, anche ad assumere autenticamente ciò che autentico non è. E anche qui distinguere il vero dal falso, l'autenticità dall'apparenza, risulta essere arduo...
Il mondo e la psiche umana sono talmente complessi, che è difficile separare nettamente vero e falso, nero e bianco. E' quasi retorico dire che il mondo è modulato secondo una gradazione di grigi, ma più che cerco di chiarire, di distinguere, di separare, di dichiarare una realtà vera, più che mi scontro contro il difficile intreccio che è questa realtà. 
Eppure a volte tutti noi mettiamo un velo, una maschera, di fronte a ciò che sappiamo di essere, e senza soluzione di continuità.
E' indubbio, d'altronde, che ciò che appare a primo acchito, ciò che ci si mostra immediatamente, ci colpisce in un determinato modo e permette di formarci un'opinione attorno alla cosa in questione. Giudichiamo quasi necessariamente da ciò che vediamo, anche se poi, al di là di questa patina, si mostra una realtà più complessa e sfumata.
Ed è molto deludente quando scopriamo che quel qualcosa- cosa o persona- su cui ci eravamo fatti una certa idea è in realtà del tutto, o in parte, diversa, da ciò che avevamo creduto. Anche perché a volte siamo noi a voler credere che una cosa sia, o possa essere, in una determinata maniera...
Ma a volte quest'inganno ci da' piacevoli sorprese, perché mostra una realtà che più ci aggrada. 
 Ed è così per questi biscotti che vado a presentarvi oggi: di primo acchito non trasmettono niente di eccezionale, e non sembrano essere niente di che, se non mediocri palline marroncine senza una vera forma e dimensione.
Una volta assaggiati, però, l'opinione è necessariamente (e dico necessariamente) destinata a mutare: questi bocconcini nascondono un morbido interno di ciocco-cocco che regala intense e vibranti emozioni.
La ricetta originale è di friariello74. L'unica mutazione approntata è sul tempo di cottura, ridotto da 10 a 8 minuti perché sul mio forno (ogni forno, si sa, è una bestia a sé...) si è rivelato essere il tempo perfetto per ottenre questo perfetto connubio di un'esteriorità imperfetta e di un interiorità morbida e sublime...




Con questa ricetta partecipo alla raccolta di Micaela del Criceto Goloso, "Biscottiamo"



Gioco del mondo, il despota,
mischia essenza e parvenza: -
l'eterna giullarata
ci getta nella mischia!...
(Friedrich Wilhelm Nietzsche: "La Gaia Scienza")



Biscotti al cocco e cioccolato






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