A partire da un articolo di Silvia Ballestra: "La tecnica, l'etica e il corpo femminile".
Vi avevo anticipato che mi sarei ritagliata momenti dedicati alla riflessione e squarci grandi per la bioetica, insieme alle solite ricette.
La bioetica ormai per me è diventata una fissa: un habitus mentale, un crtiterio di selezione quasi automatico delle notizie che leggo o che scorgo. Da quando ho deciso che quello sarebbe stato il mio argomento di tesi, non mi ha abbandonato un solo istante.
Ho solo il rammarico di non riuscire a restare sempre aggiornata sugli ultimi svolgimenti del dibattito bioetico che rivela tuttavia continuamente nuove chicche e spunti di riflessione: questa che vi accenno qui è stata destata da un articolo di Silvia Ballestra, scrittrice italiana attiva fin dal 1990 e sensibile ai temi dell'aborto e della questione femminile (di lei ho letto il libro Piove sul nostro amore. Una storia di donne, medici, aborti, predicatori e apprendisti stregoni, edito nel 2008 da Feltrinelli), pubblicato su "Repubblica" il 21 agosto 2009, cioé pochi giorni fa.
La Ballestra parte dall'auspicio, evidentemente pronunciato da Umberto Veronesi, del conseguimento di una parità assoluta uomo-donna, senza mezzi termini. E si sofferma a riflettere sull'argomento bioetico tra i più scottanti di questo periodo, più che altro per il gran, prevedibile, polverone, sollevato dalla Chiesa e dai chiesaroli che invadono il Parlamento italiano. Mi sembra di poter sintetizzare la questione che muove l'articolo, o alla cui luce comunque l'ho letto, con la domanda più elementare e forse la più filosofica del mondo: "Perché?"
Perché accanirsi contro la pillola abortiva, quando la legge 194 (quella che regola l'aborto chirurgico) è stata accettata, anche se con una certa amarezza (ancora, in effetti, viene spesso messa in discussione o attaccata), da 30 anni ormai? Perchè, alla resa dei conti, che differenza fa?
Aborto è sempre aborto, e una volta che lo si giudica moralmente disdicevole, lo è sia praticato con la chirurgia che con la pillola. In questo senso mi ritrovo, ahimé, d'accordo con la senatrice Pd (oltretutto numeraria dell'Opus Dei) Paola Binetti che, in un articolo del 31 luglio 2009, sostiene che "non è il modo che cambia la sostanza e l'aborto è sempre sbagliato per un cattolico"
La Ballestra si pone la mia stessa domanda: "Ma perché desta tanto scandalo la pillola abortiva quando l’aborto è legale da trent’anni? Qual è il vero salto culturale? Cos’è che turba tanto gli oppositori più veementi?"
Bagnasco, presidente della Cei, ha parlato di "banalizzazione dell'aborto"... come se l'aborto stesso fosse banalizzabile in qualche modo, come se una donna che sceglie di abortire lo facesse a cuor leggero.
In un altro articolo ancora, pubblicato su L'Unità il 5 gennaio 2009, la stessa Ballestra affronta il problema della banalizzazione, chiedendosi se davvero la pillola arriva a rendere più facile l'aborto stesso: "Sono argomenti usati soprattutto dagli uomini (i preti, Ferrara, e ciellini vari). L’aborto medico, come raccontano le stesse donne francesi che lo scelgono in gran numero sin dal 1981, non è meno umiliante, lacerante e traumatizzante dell’aborto chirurgico. Semmai può risultare più doloroso dell’altro che prevede un’anestesia, spesso totale. La Ru 486 comporta sanguinamento, come tutti i farmaci ha delle controindicazioni, non si può prevedere il momento in cui avverrà l’espulsione, deve essere presa entro la settima settimana di gravidanza. In più la donna segue in piena coscienza – anzi, deve proprio controllarne l’andamento – il processo abortivo. Dunque dove starebbe la famigerata «banalizzazione»? Banalizzazione è un termine usato in assoluta malafede dai cosiddetti «prolife» per non rivelare la vera conquista della Ru 486. Il metodo medico non semplifica l’aborto in sé: ne semplifica le procedure."
Ne semplifica le procedure. Non semplica l'aborto stesso.
La Ballestra offre una interessante chiave interpretativa riguardo alla posizione dei pro-life nei confronti della pillola abortiva. Tutto sta, a suo parere, nell'autonomia guadagnata dalla donna nei confronti del medico, che è in parte sollevato da parte del lavoro.
La Ballestra riporta una testimonianza che mi ha lasciato l'amaro in bocca, perché evidenzia la grande potenzialità della pillola abortiva: la piena, totale, presa di responsabilità da parte della donna stessa, l'assunzione totale e autonoma della sua (checché se ne dica) dolorosa scelta: "Colpisce una testimonianza riportata da Giovanni Fattorini nel suo libro 'Aborto: un medico racconta trent' anni di 194:' parla di una ragazza che ha scelto la Ru186 non per la minore invasività, ma per la volontà di vivere fino in fondo l' esperienza del lutto, lontana da ipocrisie sanitarie. 'Aveva deciso di rinunciare a un figlio e voleva farlo lei, non delegarlo a nessuno [...]' "
Si tratta quindi, dice Ballestra, di un ulteriore atto di autodeterminazione. La cosa che nel dibattito sembra non emergere, e Ballestra lo nota fin dall'inizio, è che nessuna è costretta ad accettare la RU186, così come nessuna è costretta ad abortire, sia chirurgicamente che farmacologicamente: si tratta semplicemente di una ulteriore possibilità di scelta, di una nuova opportunità, di un'alternativa che, ovviamente, non va affrontata a cuor leggero (è necessario consultarsi col proprio medico, visto che la RU186 non è adatta a tutte... così dice Ballestra, e io faccio l'azzardo di fidarmi ciecamente). E' un'alternativa, una possibilità, una opportunità, che non vincola e non obbliga nessuna a percorrerla.Il fatto che si possa abortire, e che si possa abortire farmacologicamente, non implica che si debba abortire!
Non che questo dia più credito al loro spauracchio secondo cui con la RU186 gli aborti aumenteranno... Non si abortisce per gioco ma dopo una dolorosa scelta. Credo che entrambe le modalità prevedano un precedente lavoro di riflessione e valutazione, che l'aborto farmacologico non sminuisce affatto.
E poi Ballestra solleva un argomento ancor più interessante, e su cui mi interrogo da un annetto: il fatto dell'obiezione di coscienza. In teoria tutti possono essere obiettori, anche chi spazza la sala operatoria (non so se c'è qualcuno che spazza la sala operatoria... ma era per rendere la portata della cosa): infermieri, anestesisti, ginecologi, persino portantini...
Con la RU186 la cosa si fa più circoscritta (solo al medico e al paziente) e l'obiezione sembra, anche a questo livello, perdere molta della sua forza. E questo spaventa quelli che, giudicando l'aborto sbagliato sempre e comunque, vedono nell'obiezione di coscienza un buon modo per frenare la pratica abortiva. La RU186 quindi secondo Ballestra "è anche un ottimo modo per risolvere, in parte, l' annoso problema dell' obiezione di coscienza che - al contrario delle interruzioni di gravidanza, dimezzate in trent' anni - è la vera emergenza a proposito di aborto."
E allora capisco, provo a capire, la paura e l'allarme all'arrivo di questa pillola. S'indebolisce l'arma dell'obiezione di coscienza, che ancora non riesco a comprendere: cercate di capirmi, ho provato a spiegarmela, a darle un senso. E forse un senso lo ebbe quando, nel 1978, fu emanata la 194, che coinvolgeva medici che fino a quel momento erano stati (ufficialmente) interdetti nel praticare l'aborto. Era giusto, in un certo senso, tutelarli, una volta introdotta tale novità.
Ma adesso non è mica più una novità! Voglio dire, una volta che uno decide di fare il medico, lo sa che l'aborto è legale, lo sa che uno dei suoi compiti, insieme magari a fare prelievi del sangue, può essere anche praticare l'aborto.
Ma anche ammettendo la liceità, ancora, dell'obiezione di coscienza, perché (sempre quella domandina eh?) circoscriverla solo alla pratica abortiva? perchè non istituire l'obiezione anche, che so, per la trasfusione del sangue?
Io, medico testimone di Geova, sono obiettore per le trasfusioni perché le giudico contrarie al mio codice morale.
Così è per l'aborto, che coinvolge convinzioni e opinioni personali. Certo, nel caso dell'aborto è coinvolta un'altra vita (quest'asserzione è vera, qualunque significato si dia al termine vita e a quella vita messa in gioco): ma ognuno valuta, in relazione alla propria etica, il significato da dare all'altra vita in relazione alla propria, il valore che essa ha in rapporto alle proprie esigenze.
E' geneticamente ed empiricamente errato dire che l'altra vita in gioco, quella del feto, è come noi, perché così evidentemente non è, a meno che non si carichi di valore morale la semplice presenza del genoma umano (cosa peraltro fattibile e rispettabilissima, nel reciproco rispetto ovviamente). E questo è un fatto: non è un caso che il limite all'aborto chirurgico sia fissato entro i tre mesi (la somministrazione della RU186, addirittura, pare debba avvenire entro la settima settimana, al di sotto quindi di quello previsto dalla 194), quando il feto, o embrione che sia, è ancora così lontano da essere una creatura anche solo semplicemente senziente.
Il caricare la vita nascente, così diversa da noi o da un neonato (è evidente, non serve a nulla equiparare il feto di 2 settimane ad un neonato piangente), di un valore quale che sia, ad un livello quale che sia, è frutto di una scelta, che in quanto tale non può essere uguale per tutti. Non è un fatto.
Spesso fanno passare questa RU186 come una caramellina che una mastica senza riflettere, senza pensare, con leggerezza e quasi allegria: ma è ovvio che non è così! che essa non viene data a cuor leggero e banalmente... E' necessaria comunque, ovviamente, la figura del medico, che deve "verificare che vi siano le condizioni adatte, seguire il buon andamento, verificare l'esito". Non capisco come si possa pensare che si arrivi a distribuire la RU186 nei distributori automatici...
Eppure il medico qualcosa ci perde, nel senso che è esonerato da parte del lavoro, che viene svolto attivamente, coscientemente, dalla donna stessa.La Ballestra riporta una testimonianza che mi ha lasciato l'amaro in bocca, perché evidenzia la grande potenzialità della pillola abortiva: la piena, totale, presa di responsabilità da parte della donna stessa, l'assunzione totale e autonoma della sua (checché se ne dica) dolorosa scelta: "Colpisce una testimonianza riportata da Giovanni Fattorini nel suo libro 'Aborto: un medico racconta trent' anni di 194:' parla di una ragazza che ha scelto la Ru186 non per la minore invasività, ma per la volontà di vivere fino in fondo l' esperienza del lutto, lontana da ipocrisie sanitarie. 'Aveva deciso di rinunciare a un figlio e voleva farlo lei, non delegarlo a nessuno [...]' "
Si tratta quindi, dice Ballestra, di un ulteriore atto di autodeterminazione. La cosa che nel dibattito sembra non emergere, e Ballestra lo nota fin dall'inizio, è che nessuna è costretta ad accettare la RU186, così come nessuna è costretta ad abortire, sia chirurgicamente che farmacologicamente: si tratta semplicemente di una ulteriore possibilità di scelta, di una nuova opportunità, di un'alternativa che, ovviamente, non va affrontata a cuor leggero (è necessario consultarsi col proprio medico, visto che la RU186 non è adatta a tutte... così dice Ballestra, e io faccio l'azzardo di fidarmi ciecamente). E' un'alternativa, una possibilità, una opportunità, che non vincola e non obbliga nessuna a percorrerla.Il fatto che si possa abortire, e che si possa abortire farmacologicamente, non implica che si debba abortire!
La discussione rischia di scivolare sulla questione del potere e del dovere, che non voglio affrontare e che comunque vale per l'aborto in generale, e non solo quello farmacologico... e quindi svicolo al risposta a quel perchè con cui ho iniziato. (En passant, noto che nemmeno penso di potervi rispondere, in tutta sincerità... non ho gli strumenti per farlo... perdonatemi questo lapsus freudiano in cui manifesto indubbiamente una certa presunzione)
Perché questa obiezione sfrenata alla RU186? Ballestra da' due interpretazioni alquanto interessanti: la conquista maggiore, ancora, dell'autodeterminazione, della possibilità di esser parte attiva della propria scelta. Sembra quasi che sottintenda che coloro che si oppongono alla RU186 abbiano qualcosa da ridire con una maggiore autodeterminazione, soprattutto nel campo della scelta dell'aborto. Una maggiore possibilità di scelta (una nuova scelta riguardo alla modalità dell'abortire) non può che far paura a chi vi si oppone con tutte le sue forze catalogandolo come atto immorale.Non che questo dia più credito al loro spauracchio secondo cui con la RU186 gli aborti aumenteranno... Non si abortisce per gioco ma dopo una dolorosa scelta. Credo che entrambe le modalità prevedano un precedente lavoro di riflessione e valutazione, che l'aborto farmacologico non sminuisce affatto.
E poi Ballestra solleva un argomento ancor più interessante, e su cui mi interrogo da un annetto: il fatto dell'obiezione di coscienza. In teoria tutti possono essere obiettori, anche chi spazza la sala operatoria (non so se c'è qualcuno che spazza la sala operatoria... ma era per rendere la portata della cosa): infermieri, anestesisti, ginecologi, persino portantini...
Con la RU186 la cosa si fa più circoscritta (solo al medico e al paziente) e l'obiezione sembra, anche a questo livello, perdere molta della sua forza. E questo spaventa quelli che, giudicando l'aborto sbagliato sempre e comunque, vedono nell'obiezione di coscienza un buon modo per frenare la pratica abortiva. La RU186 quindi secondo Ballestra "è anche un ottimo modo per risolvere, in parte, l' annoso problema dell' obiezione di coscienza che - al contrario delle interruzioni di gravidanza, dimezzate in trent' anni - è la vera emergenza a proposito di aborto."
E allora capisco, provo a capire, la paura e l'allarme all'arrivo di questa pillola. S'indebolisce l'arma dell'obiezione di coscienza, che ancora non riesco a comprendere: cercate di capirmi, ho provato a spiegarmela, a darle un senso. E forse un senso lo ebbe quando, nel 1978, fu emanata la 194, che coinvolgeva medici che fino a quel momento erano stati (ufficialmente) interdetti nel praticare l'aborto. Era giusto, in un certo senso, tutelarli, una volta introdotta tale novità.
Ma adesso non è mica più una novità! Voglio dire, una volta che uno decide di fare il medico, lo sa che l'aborto è legale, lo sa che uno dei suoi compiti, insieme magari a fare prelievi del sangue, può essere anche praticare l'aborto.
Ma anche ammettendo la liceità, ancora, dell'obiezione di coscienza, perché (sempre quella domandina eh?) circoscriverla solo alla pratica abortiva? perchè non istituire l'obiezione anche, che so, per la trasfusione del sangue?
Io, medico testimone di Geova, sono obiettore per le trasfusioni perché le giudico contrarie al mio codice morale.
Così è per l'aborto, che coinvolge convinzioni e opinioni personali. Certo, nel caso dell'aborto è coinvolta un'altra vita (quest'asserzione è vera, qualunque significato si dia al termine vita e a quella vita messa in gioco): ma ognuno valuta, in relazione alla propria etica, il significato da dare all'altra vita in relazione alla propria, il valore che essa ha in rapporto alle proprie esigenze.
E' geneticamente ed empiricamente errato dire che l'altra vita in gioco, quella del feto, è come noi, perché così evidentemente non è, a meno che non si carichi di valore morale la semplice presenza del genoma umano (cosa peraltro fattibile e rispettabilissima, nel reciproco rispetto ovviamente). E questo è un fatto: non è un caso che il limite all'aborto chirurgico sia fissato entro i tre mesi (la somministrazione della RU186, addirittura, pare debba avvenire entro la settima settimana, al di sotto quindi di quello previsto dalla 194), quando il feto, o embrione che sia, è ancora così lontano da essere una creatura anche solo semplicemente senziente.
Il caricare la vita nascente, così diversa da noi o da un neonato (è evidente, non serve a nulla equiparare il feto di 2 settimane ad un neonato piangente), di un valore quale che sia, ad un livello quale che sia, è frutto di una scelta, che in quanto tale non può essere uguale per tutti. Non è un fatto.
Tornando a bomba, perché solo all'aborto questo privilegio dell'obiezione? Perché non a tutte le altre pratiche mediche? Su questa domanda, ancora, continuo a interrogarmi, trovando solo supposizioni vaghe che mi proiettano in una distopica teocrazia futura.
Concludo questo mio lungo sfogo riportandovi la fine dell'articolo di Ballestra, che sembra aprire una possibilità di respiro, o comunque da' una proposta semplice, intelligente, intuitiva, di possibilità di discutere. La discussione e la riflessione autonoma, forse, son l'arma per far chiarezza in questa strana trama che è la questione dell'aborto (ma non solo... non solo... forse dovrei parlare di questa strana trama che è l'intero tessuto politico-sociale italiano)
"[...] sarebbe bene poterne discutere liberamente. Discutere anche del nodo etico dell' aborto, oggi che si fanno meno figli e l' argomento è diventato più scottante. Col progresso della tecnica (non solo abortiva, ma anche di indagine prenatale), una serie di questioni un tempo impensabili investono la vita delle donne e le loro scelte. Si vorrebbe poterne parlarne senza inciampi patriarcali, vescovili o politici che costringono ad arroccarsi e divenire brutali. Il dolore, la qualità della vita, l' elaborazione del lutto, la responsabilità etica, la procreazione, sembrano oggi argomenti monopolizzati quasi esclusivamente dai proibizionisti. Ben venga il massimalismo auspicato da Veronesi. Intanto, concentriamoci su un minimalismo realizzabile qui e subito."