Il 25 novembre 1960 Aida Patria Mercedes, Maria Argentina Minerva, Antonia Maria Teresa Mirabal - militanti politiche della Repubblica Dominicana in lotta contro la dittatura di Rafael Trujillo (dittatura di cui si sa ben poco, di cui comunque è passato ben poco nelle nostre coscienze) con il nome di battaglia Las Mariposas - furono catturate in un'imboscata fatta da agenti del servizio militare, torturate e uccise. Una tragedia in cui si mescolano un'evidente prospettiva politica e una (meno evidente?) prospettiva "sessista" (non mi viene in mente altro termine per descriverla)... o forse è più evidente ancora della prospettiva politica, quest'ultima sul sesso? Non ricorda una delle innumerevoli storie sentite riguardo a ragazze o donne aggredite, malmenate, stuprate, torturate, uccise, quale che ne sia il motivo che spinge a questi soprusi?
Ed è per questo, credo, che il 25 novembre è passato alla storia (o meglio, al calendario ) come la Giornata Internazionale contro la violenza commessa contro le donne.
Anche se con un giorno di ritardo non potevo passare sotto silenzio questa piaga secolare, millenaria... questa inestirpabile mentalità sessista che giustifica, a volte velatamente e a volte in maniera esplicita, la sopraffazione del maschio sulla femmina, dell'uomo sulla donna. In virtù della superiorità di forza fisica, forse, o forse della memoria del passato maschilista assunta quasi inconsciamente: una disposizione, una volta che diventa abitudinaria, assume quasi lo status di "giusta" e in ogni caso diviene ovvia, banale, indiscutibile.
Quante storie di donne picchiate, abusate, violentate fisicamente, sessualmente, psicologicamente... costrette a sposarsi con sconosciuti o a convivere con mariti o compagni divenuti violenti, prepotenti, oppressori; a sentirsi quasi in colpa perché vogliono essere diverse, libere di realizzarsi e di realizzare se stesse anche e soprattutto a prescindere dal loro essere "illuminate"da una presenza maschile; che subiscono per anni prepotenze e abusi e che magari riescono, a volte, anche a convincersi che sia bene, che sia giusto così. E questo non avviene solo in quei Paesi che, con un inopportuno senso di superiorità, ci piace chiamare "del terzo (o del quarto) mondo", ma anche nella nostra "civilissima" Italia, in quell'Italia in cui persino alcuni personaggi politici di spicco (non faccio nomi ) esercitano violenza sulla donna una volta che la giudica solo sulla base delle sue apparenze esteriori, del suo poter soddisfare le voglie sessuali dei "maschi".
Abbiamo spesso, e a ragione, paura ad uscire da sole la notte... perché spesso sono le donne vittime di aggressioni, furti, stupri. Ma non sempre - dico cose ovvie, lo so - si è più sicure dentro casa.
Quanti esempi ci sono di donne/ragazze/bambine violentate, picchiate, uccise dal padre, dal fratello, dallo zio, dal patrigno, forse anche dal nonno... tutta quanta la scala parentale è coinvolta nella spirale di violenza domestico-famigliare.
Ho voluto evidenziare questa giornata perché penso abbia senso ricordare anche per scritto la condizione femminile, ancora tanto incerta, ancora troppo legata ai vecchi stereotipi di (presunta) superiorità maschile. Non voglio e non posso affermare l'opposta superiorità femminile, perché ritengo che uomo e donna non siano che due diversi generi di una stessa specie, caratterizzati sì da differenze biologiche, ormonali, che non possono assolutamente scusare una diversità di trattamento e considerazione, che non devono giustificare la superiorità di un genere sull'altro e l'oppressione di uno (quello "superiore") sull'altro (l'"inferiore").
La colpa spesso è degli uomini, certo, che ritengono di poter sopraffare la controparte femminile, di picchiarla, violentarla, ucciderla per il semplice fatto che "sono maschi", di discriminarla sul luogo di lavoro a prescindere dalle effettive capacità, di ignorare le possibilità e le potenzialità al di là di essere un "oggetto sessuale" (o semplicemente un "oggetto"). Ma a volte è anche nostra, che accettiamo quest'atteggiamento, che per acquiescenza lasciamo correre, che scusiamo i comportamenti del proprio compagno/marito ai limiti dell'inverosimile, che tolleriamo di essere ridotte a pure bambole imbellettate... e il cambiamento deve venire anzitutto da noi, se vogliamo che la situazione cambi, anziché accettarlo come benevolo dono del maschio. Non che con questo voglio dire che le donne contemporanee non stanno facendo niente... ce ne sono di ammirevoli che lottano e stanno lottando per una pari considerazione dei diritti; ma anche altre che si piegano allo stereotipo di "bambola-bella-e-per-questo-non-intelligente" che viene usualmente imposto...
Ogni discriminazione - e quindi anche quella sessuale - svilisce e offende sia chi la porta avanti che chi la subisce e porta con sé solo umiliazione, frustrazione, rancore... e dolore. Un dolore che per quanto può essere velato o cinicamente mascherato sempre dolore è e non ha scuse.
Un dolore senza sfumature. Dolore e basta.
C'è un'affermazione stupida (udita chissà dove da chissà quale idiota) secondo cui in realtà alle donne piace essere trattate così. Come se quel dolore che ci viene imposto potesse metamorfizzarsi in piacere.
Per quanto il confine tra piacere e dolore sia labile, al punto che a volte tendono a mescolarsi, posso giudicare quest'affermazione semplicemente come una cazzata (scusate la finezza).
Ma è sulla scia di questa labilità di demarcazione tra il piacere e il dolore, di quegli stati (ben diversi, badate bene!, dalla violenza inflitta alla donna!) di confine in cui l'estremo piacere sembra mutare in sottile dolore, che inserisco la ricetta del post. Sfogliando una serie di schede di cucina che arrivano in omaggio per posta (sarà capitato anche a voi... mandano gli omaggi nella speranza di incentivare ad ulteriori acquisti), con in testa il progetto di cestinarle tutte (buttandole ovviamente nella carta da riciclare ), mi è cascato l'occhio su questa crostata. E l'ho voluta (anzi, dovuta) assolutamente provare.
Con la sua ipercalorica crema di cioccolato, essa muove dall'intimo del corpo, da ogni sua parte (cuore, cervello, stomaco, papille gustative, sguardo), una scarica di adrenalina e di libido straordinariamente sensuale, che tende però a cadere su una scia dolce di dolore (dovuto sia alla considerazione della quantità di calorie ingurgitate sia a quella caduta della parabola che, una volta raggiunto il suo apice, non può che decrescere ).
La lussuria del piacere che induce me l'ha fatta (anche visivamente, non so perché) accostare al decadentismo, in cui l'eccessività del piacere andava a braccetto con un tenue sottotesto di dolore. Per questo ho deciso di nominarla (scelta del tutto arbitraria), 'Crostata Rimbaud', in onore di uno dei suoi massimi esponenti.
In origine la presentazione della "crostata decadente" era nata in relazione ad una disquisizione sul piacere e sul dolore e la difficoltà di distinguerli... ma non potevo tacere del 25 novembre e mi è sembrato ovvio e giusto dare al post un approccio differente.
[...] e forse è per vendetta
e forse è per paura
o solo per pazzia, ma da sempre
tu sei quella che paga di più
se vuoi volare ti tirano giù
e se comincia la caccia alle streghe
la strega sei tu
(Edoardo Bennato: "La fata")
Crostata Rimbaud con salsa di cioccolato, cacao e riccioli di cioccolato