"Perché una realtà non ci fu data e non c'è; ma dobbiamo farcela noi, se vogliamo essere; e non sarà mai una per sempre, ma di continuo e infinitamente mutabile"

(Luigi Pirandello)

mercoledì 29 dicembre 2010

L'anno che finisce e la necessità di bilancio in un vortice di dinamismo, con la chiusura finale dei miei gnocchi di zucca.

Dicembre è passato quasi senza che me accorgessi. E' passato Natale, con tutto il suo carico di retorica, di ricordi, di auguri, di regali, di ipocrisie, che quest'anno sono stati a dire il vero pochi (gli auguri, i regali, le ipocrisie)... sarà per un mio calo di popolarità o per il fatto che quest'anno son stata davvero poco ricettiva al riguardo. In generale Natale è una festività che mi tocca poco e che uso forse più che altro come pretesto giustificato per ricordare, attraverso i miei auguri, della mia propria esistenza o dell'importanza che gli altri rivestono, spesso senza saperlo, nella mia vita; ma quest'anno l'ho sentito, se possibile, ancora meno del solito, niente di più che un giorno da passare faticosamente in famiglia e per sperare in un qualche guadagno (ovviamente morale, ma anche e soprattuttomonetario ).
Forse è perché sono cambiate così tante cose, a partire da inizio dicembre, che la festività natalizia, per me quasi moralmente neutra, è passata di necessità decisamente in secondo piano: l'inizio del Master Universitario, il trasferimento nell'appartamento di Pisa che ha significato forzatamente il cambiamento dei miei ritmi/abitudini/usanze, una serie di altri mutamenti della mia situazione, elementi che tutti coniugati hanno voluto dire il conseguimento di una quasi serenità (l'assenza di un lavoro che mi dia veramente di che sussistere non mi consente l'eliminazione di quel noioso "quasi" ). Ho avuto la testa decisamente da altre parti per poter ricordarmi davvero del Natale e di tutti i riti che esso prevede. 
Ma voglio festeggiare anche qui, sul mio blog - la mia nicchia ecologica, la mia culla, la mia fierezza, la mia consolazione - l'anno che sta finendo, che quasi è già finito. Credo di aver già detto (su certe questioni temo di essere maledettamente monotona ) che la fine di un'epoca, di un periodo, di un percorso, porta quasi spontaneamente a tracciare un bilancio: e la fine di un anno è senza dubbio la fine di un'epoca. Più ci si avvicina a venerdì 31 dicembre 2010 meno posso evitare, quindi, la propensione a bollare, etichettare, sondare, l'anno che è appena trascorso (oltre ovviamente a sperare nell'anno a venire).
Il 2010 è stato, per me, un anno dinamico. Se devo pensarci, e ripensarlo, è questo il primo termine che mi colpisce il cuore: del 2010, con tutte le sue vette di rimpianti, rimorsi, pentimenti e delusioni (che non possono non esserci, che ci sono state), ricordo con piacere il dinamismo che l'ha caratterizzato. Nel 2010 mi sono laureata, concludendo così un tracciato di studi che ha orientato per forza di cose la mia vita; nel 2010 ho affrontato la prima esperienza che mi ha messo davvero, e praticamente, alla prova, cioè l'esperienza in Turchia; nel 2010 ho cambiato in maniera vorticosa, impressionante, idea e prospettive su di me e sul modo di affrontare e di guardare la mia vita; nel 2010 ho conosciuto così tante persone in modi che prima non credevo neppure possibili per me, e al di fuori del mio solito contesto casa-facoltà di filosofia-caffé letterario; nel 2010 ho avuto la possibilità di conoscere contesti, situazioni, personaggi, fuori dal mio ordinario (e non parlo solo del ventaglio di prospettive spalancatemi dall'esperienza turca); nel 2010 ho capito così tante cose su di me, ne ho preso così dannatamente coscienza, e ho per la prima volta cercato (in qualche modo, probabilmente sbagliato) di affrontare la me stessa che non mi piace, che posso forse ardire ad affermare che, forse, finalmente, il 2010 ha voluto dire davvero l'inizio di una mia reale crescita emotiva e intellettuale.
Ci sono stati periodi morti, di inattività non forzata, di voglia di annullarsi. Ma non posso non pensare al 2010 se non in relazione al brivido di cambiamento che l'ha attraversato (cambiamenti non sempre e non solo dovuti ad una mia scelta, ma che spesso sono semplicemente "capitati", per una serie di casuali coincidenze o semplicemente perché lo scorrere del tempo ha voluto così).
Uscendo al di fuori della mia piccola, angusta, ottica personale e individuale, non so se lo stesso dinamismo ha caratterizzato la situazione italiana, di cui ho spesso la sgradevole impressione che tendano a ripetersi gli stessi, angosciosi, stantii, schemi di potere e sopraffazione. Forse per l'Italia nel suo complesso non è stato un anno così dinamico, così particolare, così - alla resa dei conti - non negativo.
Per consolarmi (e consolare anche voi ) di questa stantia situazione nazionale e per augurare a tutti voi che vorrete fermarvi a dare un'occhiata a questo (per una volta breve) post, propongo stasera l'ultima speciale scoperta gastronomica dovuta alla necessità di smaltire una zucca che da troppo tempo vegetava in frigorifero. Adoro la zucca - si presta a così tante declinazioni e variazioni, sia dolci che salate, ed è speciale per la sua meravigliosa duttilità; volevo fare con questa qualcosa di particolare, che confortasse non solo le mie papille ma anche il mio sguardo e la mia narcisistica soddisfazione di ragazza che tenta (con successi altalenanti) di fare la "cuoca". Cercando e sbirciando tra ricette annotate, libri (in realtà ne ho guardato solo uno, che parla specificatamente delle ricette con la zucca ), blog e siti Internet, sono stata attirata come calamita dalla ricetta degli gnocchi di Artemisia Comina di AAA ACCADEMIA AFFAMATI AFFANNATI. Mi è sembrata una ricetta davvero particolare: gli gnocchi hanno come unici ingredienti il purea di zucca e la farina e la salsa di condimento è sfiziosa e intrigante per l'uso combinato dei semi di papavero e della buccia di arancia. I cambiamenti da me apportati alla ricetta originale sono più che altro dovuti a ciò che avevo a disposizione: il pangrattato al posto del parmigiano (non ne avevo, di parmigiano, in casa) e un grasso da spalmare vegetale (ma non la margarina) al posto del burro (perché avrei dovuto aprire il panetto di burro e in frigorifero avevo già aperta la confezione di grasso spalmabile Vallé - chiedo venia per la pubblicità occulta ma non so come altro far capire il tipo di alimento che ho usato - della mia coinquilina, che mi aveva già dato il permesso di usufruirne).
Preparare questi gnocchi mi ha dato un'enorme soddisfazione: avete mai provato la gioia, l'ansia creatrice di vedere i vostri piccoli gnocchi salire uno a uno in superficie pronti per essere scolati e mangiati? 




Bravo. Sei stato lirico.
Lirico fino all'orgasmo.
Ora va' a letto. Dormi
beato, nel tuo entusiasmo.

(Giorgio Caproni: "Altro inserto")



Gnocchi di zucca aromatizzati alla salvia con arancia e semi di papavero









lunedì 13 dicembre 2010

Non opposti ma differenze... il valore del contrasto, differenziazione, individualità per una crostata cromaticamente duale, con crema di zucca e frolla al cacao

Eraclito, Pitagora, Hegel... quando penso agli opposti, ai contrari, alla contradditorietà, una specie di deformazione professionale mi fa risuonare nella mente i nomi di questi pensatori, forse i più famosi, o i più banali, che hanno fatto dell'opposizione il centro focale del loro pensiero, che l'hanno resa come la principale costituente della realtà. Ma è sufficiente guardare più vicino - in termini sia temporali che culturali - in noi stessi, nella nostra attuale e contemporanea società, perché risulti evidente che siamo soliti, tutti noi, ragionare tendenzialmente per coppie di opposti. Il bene e il male, il bianco e il nero, il chiaro e lo scuro, l'alto e il basso, il bello e il brutto. Non è vero forse che spesso è questa la prospettiva, da cui guardiamo il mondo, da cui lo interpretiamo?
A volte mi fa pensare l'idea che forse tutte queste costruzioni concettuali di contrari, di opposti, di contradditori, non siano altro che artifici... costruzioni, appunto, fatte da noi per farci quadrare la realtà, per inserirla in uno schema che ci sia in qualche modo capibile. E' comprensibile, forse naturale, perché la realtà è realmente così difficile, così complessa, che volerla cogliere in tutta la sua interezza condurrebbe alla pazzia.
L'abbiamo sempre fatto... semplificare la realtà per spiegarcela, intendo. Credo che la piena comprensione di ciò che ci circonda sia decisamente ben al di là delle nostre effettive capacità e possibilità di comprensione. Abbiamo sempre cercato di imprigionarla in schemi concettuali, in griglie che ce la facessero "vedere" con una maggiore chiarezza... è logica la cosa, è naturale, per la (unicamente? ) umana volontà di comprendere il mondo in cui bene o male ci si ritrova a vivere: come si può comprendere qualcosa che si articola secondo un'infinità di modi, di dimensioni, di sotto-realtà, di cose intoccabili e per questo incomprensibili? A volte ho la spiacevole impressione che non ne abbiamo capito quasi nulla, del mondo in cui viviamo; che le credenze cui aderiamo, che scegliamo di accettare, non siano che finzioni con cui ci spieghiamo a nostro modo una realtà in sé incomprensibile appieno... che quindi quello che vediamo non sia che una specie di nostra "invenzione" collettiva. Ed è vero, senza dubbio, che percepiamo gli elementi che ci circondano in relazione alla nostra educazione, alle nostre credenze, alle nostre convinzioni.
Scovare nella realtà quelle caratteristiche che definiamo "opposte" ci serve forse per orientarci meglio nel reale, più di quanto ci serva pensare ad un insieme indefinito, confuso, mescolato, di caratteristiche, proprietà, aspetti, suoni, colori, sapori, luci, percezioni, distinti. L'ultimo anno del liceo ricordo di aver "scoperto" l'ineffabile complessità del reale... una complessità che mi ossessionò al punto da vederla spiacevole, sconcertante, ma nello stesso tempo meravigliosa, esilarante, irrinunciabile... una sorta di "sublime", se vogliamo esser colti, seri, letterati e fare citazioni del pensiero altrui. Anche se penso sia stato quasi solo un vezzo intellettuale, il mio, quello di richiamarmi sempre alla estrema irrapresentabilità del reale e alla sua complessità, alla pluralità di prospettive che, pur apparentemente contraddittorie (opposte, appunto ), coesistono insieme, al punto che è impossibile dire quale sia quella giusta e quale quella sbagliata, sempre che abbia senso parlare di "giusto" e "sbagliato".
Adesso che di anni, bene o male, ne sono passati, è passata anche quest'ansia intellettualoide dei miei 19 anni... nonostante sia rimasta, anzi sia più consapevole, la coscienza della pluralità di prospettive da cui si guarda la realtà, la molteplicità dei suoi modi di essere. E all'interno di queste, non vedo pertanto coppie di opposti... bé, sì, mi viene quasi spontaneo opporre il bello al brutto, il caldo al freddo, il buono al cattivo etc... e forse tendo anche a dare un valore morale o moraleggiante ad ogni coppia di opposti ("buono" e "cattivo", naturalmente, sono in sé morali, senza che sentano il bisogno di lasciarsi attribuire da me un valore morale). Ma a pensarci bene è più "verosimile", nella mia percezione, parlare non tanto di opposti ma di diversità, di differenze, articolate secondo modalità e gradazioni diverse.
Se anche esistono due estremi di cui si può predicare la totale opposizione (ma esistono davvero?), tra di essi c'è una serie infinita di gradi e gradazioni, di caratteristiche diverse anche in maniera infinitesimale. Ed è questa scala di differenze che rende la realtà così straordinariamente eccitante.
Prendiamo soltanto la realtà umana. E' geneticamente, biologicamente, provato che ogni individuo è - per forza o per amore - diverso da ogni altro... forse è diverso per i gemelli omozigoti, ma non ne sono così sicura. La totalità dell'umanità è bella (in senso strettamente morale)  in virtù della varietà, della diversità che ci caratterizza, ognuno con un se stesso diverso da quello degli altri in termini di carattere, di inclinazioni, di potenzialità, di possibilità, di circostanze che ne modulano e ne influenzano l'agire. Una società di uguali può esistere solo nei termini di una società che dia ad ogni persona le stesse possibilità di crescita, di sviluppo, di realizzazione; sarebbe ingiusto voler creare una società di uguali nel senso stretto del termine. Una società di fotocopie, di individui tutti identici gli uni agli altri nelle aspirazioni, nelle volontà, persino nell'aspetto... forse i totalitarismi - o qualche totalitarismo - ha tentato di uniformare gli individui a una sola massa. E forse anche la società di oggi, così "totalitaristicamente" consumistica, sta cercando di appiattirci su uno standard di media mediocrità, di gusti simili se non uguali, di modelli simili, in un luogo dove non ci sono punte di "originalità", di differenze, di distinzione.
Ma penso di poter affermare, con un certo orgoglio, che non è possibile soffocare del tutto le diversità individuali, ottenere pienamente "una specie di massa senza più l'individuo". Questo discorso vale, a pensarci bene, anche per molti animali non umani: chi ha un cane o un gatto - o ancor meglio più d'uno - non potrà negare come ognuno abbia una propria personalità, dei propri gusti, abilità, capacità, repulsioni, paure. E' la differenza individuale a rendere così emozionante il contatto con l'altro (umano od animale che sia).
Ed è la stessa differenza, anche se cromatica stavolta, a rendere così speciale la crostata che vi presento oggi: ho preso ispirazione dalla crostata speziata di Petra di Vegan Blog in occasione della festività di Halloween, in cui trionfavano tronfiamente ricette con la zucca fatta in ogni salsa, mi ha incantato per l'evidente differenziazione cromatica tra la crema di zucca e la frolla al cacao. Non appena uscita dal forno, prima ancora di assaggiarla, ho lodato il successo estetico di una crostata che si è rivelata ottima anche nel gusto . Meno belli sono i riccioli di cioccolato (per la tecnica rimando alla ricetta della Crostata Rimbaud), in teoria decorativi... ma per questo devo ancora affinare la tecnica, verrà un giorno in cui sarò mastra e maestra nel produrre decorativi ed esteticamente impeccabili riccioli di cioccolato


Non mi piace il mercato globale
che è il paradiso di ogni multinazionale
E un domani state pur tranquilli
ci saranno sempre più poveri e più ricchi
ma tutti più imbecilli
E immagino un futuro 
senza alcun rimedio
Una specie di massa
senza più individuo
(Giorgio Gaber: "La razza in estinzione")




Crostata cromaticamente contrastata con crema di zucca e frolla al cacao





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