"Perché una realtà non ci fu data e non c'è; ma dobbiamo farcela noi, se vogliamo essere; e non sarà mai una per sempre, ma di continuo e infinitamente mutabile"

(Luigi Pirandello)

venerdì 22 ottobre 2010

Ancora sulla Turchia: la gente, gli insegnamenti, la cucina ("piccolo" e dovuto squarcio gastronomico)

Come tutti gli anni, mi sono persa il World Bread Day 2010, anche se testimonianze fisiche di questa mia usuale amnesia ci sono solo per quanto riguarda quest'anno e il precedente.... cioé da quando ho messo le mie mani su Filosoficamente Sostenibile. Ricordo ancora l'anno scorso: seppi del giorno del pane giorni dopo che questo si era svolto e mi ripromisi di parteciparvi questo anno; per ironia della sorte mi son persa anche il 16 ottobre 2010.
In realtà, però, a voler essere sinceri, un po' me la sono voluta: dalla mattina del 16 ero consapevole che si trattava del WBD, ma mi sono peritata a pubblicare una qualsiasi ricetta "panosa", pur avendone archiviate, perché ogni post che pubblico richiede per me giorni di gestazione mentale, di organizzazione grafica (ovverosia la preparazione delle fotografie), di ripensamenti e di prove, e improvvisarne uno sabato avrebbe restituito una pubblicazione parziale, incompleta, che mi avrebbe lasciato insoddisfatta. E poi avevo ancora in testa l'aggiornamento su e della Turchia, aggiornamento che non posso e non devo rimandare.
Fatte queste scuse inutili e non richieste (excusatio non petitaaccusatio manifesta, come si dice... anche se non so quale accusatio dovrei muovermi per perdere mezza pagina a spiegare il perché non ho partecipato al WBD, nemmeno qualcuno me l'avesse chiesto poi ), è tempo di agire e di continuare l'aggiornamento turco.
La Turchia mi manca. Non credevo fosse possibile che un posto ti si conficcasse così a fondo nel cuore , nonostante la mia permanenza lì sia stata relativamente breve, e nonostante il mio "processo di attaccamento" si sia sviluppato in un tempo ancora più breve. All'inizio il contesto in cui lavoravo mi era insofferente, per diventarmi indifferente (come ho detto nel post precedente: anche se non volevo più tornare a casa, la nostalgia non mi assillava più e molti malumori erano scomparsi, non provavo alcuna emozione particolare per il paese che mi ospitava); solo alla fine - nell'ultimo mese, più o meno, per essere precisi, secondo una specie di curva ascendente anche all'interno del mese stesso - ho sviluppato verso la realtà turca, verso la sua storia, la sua musica, le sue contraddizioni, persino verso la sua gente, un forte legame emozionale, un apprezzamento di tutte queste cose (realtà, storia, musica, contraddizioni etc)... questo, forse, anche per il fatto che si avvicinava il momento in cui me ne sarei dovuta tornare in Italia, momento che all'inizio mi sembrava tanto lontano.
Avete notato come spesso le cose si apprezzano in maniera diversa, con una diversa intensità e un diverso approccio, per il fatto che si sa che presto avranno termine o che la vita cambierà in maniera così radicale da impedire di esperirle ancora? 
Un ragazzo che conosco mi fece questa osservazione citando a proposito "Jack Frusciante è uscito dal gruppo"... e mai come nella mia esperienza turca ne ho avuto un sentore tanto acceso.
Fin da subito, però, della Turchia (o di quella parte che ho toccato io), mi ha stupito il forte senso di ospitalità che coinvolge e accoglie tutti, che tu sia turista oppure no... ed io indubbiamente non ero una turista . Al di là della loro attitudine "turcocentrica" (di cui era indice lo stupore mostrato da molti alla notizia che tu, stolta europea italianofila, non conoscevi il turco ma l'inglese) e del loro considerare la Turchia l'ombelico del mondo, dava una sensazione calda il sentirsi accolti, considerati come ospiti non sgraditi ma da onorare con offerte (di bevanda o di cibarie) che mostrasse il piacere, o il sentire, che avevano di interagire con te; il volerti fare comunque e sempre sentire a casa, anche in occasioni in cui la vera conversazione era impossibile perché l'interlocutore non sapeva l'inglese e io non sapevo il turco.
Racconto sempre, a proposito, un episodio che tra l'altro risulta adattissimo al contesto di questo blog anche per l'elemento culinario che vi compare: un lunedì mattina, alle 6 e 30, dovetti accompagnare due ospiti in aeroporto. Dopo i soliti convenevoli e le usuali presentazioni con l'autista [presentazione che usualmente (tranne per gli ultimi due trasnfert in cui gli autisti masticavano curiosamente un po' di inglese) si svolgeva in questo modo: con lui che mi diceva (in turco) qualcosa che penso volesse dire "io non parlo l'inglese" ed io che replicavo (in inglese o in italiano, tanto l'incapacità dell'altro di comprendermi era la medesima), "no turkish/no turco"] il viaggio era proseguito senza inceppi e senza problemi. Al ritorno l'autista si è fermato davanti ad un panettiere e mi ha detto qualcosa che ho interpretato (oh grandi capacità di interpretazione che ho sviluppato a Bodrum!) come "torno subito"; ha preso del pane e dei dolcetti per la colazione della famiglia (perché, a quel punto, si era effettivamente fatta ora di colazione) e, salito in macchina, mi ha offerto con gentilezza una grossa ciambella tempestata di semi di sesamo. Cose mangerecce turche che fino ad allora non avevo mai visto. Non era bello rifiutare e lo stomaco un po' mi brontolava, così ho detto con un sorriso sincero e stupito "teşekkürler" (cioè "grazie", termine che ho imparato quasi subito e che ho usato in più occasioni) e ho mangiato la ciambella.
E già questo mi ha stupito: tu, guidatore turco che non parli inglese, offri una ciambella (in un certo senso, la colazione) a me, ragazza italiana che non parla turco e che conosci da più o meno quaranta minuti! offerta fatta evidentemente, tra l'altro, senza secondi fini. 
Poco dopo essere ripartiti ha svoltato a destra, scusandosi con i gesti e con le parole, ed è passato da casa a lasciare ciò che aveva comprato (esclusa la mia ciambella )... la casa, o meglio tre baracchette di cemento immerse nel verde, sui lati della strada, con le galline che zampettavano ovunque. Una dimora che evocava povertà ma non miseria.
E mi sono sentita contrarre lo stomaco nel constatare come una persona che certo non navigava nell'oro non si fosse peritato ad offrire a me, perfetta sconosciuta, qualcosa che poteva usare in altro modo, per se stesso e per i suoi familiari; così diverso dai turchi benestanti del resort dove lavoravo che, invece, sprecavano così tanto, riempiendosi i piatti di ogni ben di Dio e lasciando quasi tutto di quel che prendevano!
E le offerte (di frutta e biscotti) fattemi dai camerieri, una volta che mi conoscevano di più; gli innumerevoli té che mi sono stati offerti; le colazioni spesso divise; quella gentilezza a volte strana, inusuale, ma che scaldava il cuore.
Uno squarcio (mal fotografato) della dimora dell'autista che mi ha offerto la ciambella
I turchi sono patriottici e nazionalisti fino alla nausea, è vero; molti sono chiusi nella loro "turchitudine" in maniera a volte irritante, dando per scontato che tutti conoscono il turco, le tradizioni turche, la storia turca etc*... ma la loro propensione all'ospitalità, all'offerta, al loro volerti far sentire nella loro turca casa, alla fine ha riuscito a compensare la loro mentalità turcocentrica... alla fine, dico, perché nei primi tempi - quando ancora non conoscevo molte cose - questa mentalità mi irritava in maniera bruciante.
Mi manca ancora la Turchia, col suo calore, con la sua capacità di darmi una collocazione e uno scopo che qui, adesso, per ora, non ho. Mi manca anche il sentirmi tartassare le orecchie da quella bizzarra lingua che è il turco e che ho alla fine finito per sentire come "familiare", quasi di conforto e di "casa"; mi manca il non aver potuto scoprire di più di una terra così contraddittoria e così lontana dalle nostre sensibilità "occidentalizzate", nel suo essere a metà tra Oriente e Occidente, tra modernità e tradizione.
Nei mesi della Turchia mi sono scontrata con quello che sono, con i miei innumerevoli difetti e atteggiamenti "sbagliati"... e dopo una fase di latenza abbastanza lunga (nei termini relativi in cui 3 mesi equivale all'eternità) in cui mi scontravo continuamente con quello che sono - che ero, amerei poter dire - stavo cominciando ad elaborare un compromesso con me stessa, intervenendo un po' in ciò che potevo, accettando il resto. E mi si stringe il cuore nel constatare che qua - nel contesto in cui sono - non riesco a continuare questo processo... 
E mi si stringe ugualmente il cuore quando mi mancano certi sapori mediorientali che qui non riesco perfettamente a riprodurre. Introduco così la sezione di rimembranza culinaria, in cui cercherò di esporre alla bell'e meglio la cucina turca, quanto meno nella misura in cui ho potuto.
Le fotografie con cui corredo l'angolo culinario sono per lo più esportate da vari siti, cui ovviamente rimando... infatti sia la macchina fotografica che il cellulare (che ultimamente avevo eletto a macchina fotografica ufficiale) hanno smesso di funzionare a fine luglio, quando l'idea di fotografare i vari piatti mangerecci non mi aveva ancora sfiorato. Il desiderio di immortalare le pietanze mi è giunto troppo tardi, quando già la tecnologia mi aveva abbandonato . Per mettere in misura maggiore a contatto, almeno un minimo, con la cultura gastronomica con cui sono entrata in contatto ho pubblicato foto "prese in prestito" dal web, anche se nessuna foto rende il clima, gli odori, le luci e l'atmosfera che accompagnavano il semplice gustare; anche se questo fattore, lo so bene, vale per ogni preparazione culinaria, quale che sia la sua provenienza geografico-culturale... 




*tendiamo tutti in realtà sclerotizzarci in ciò che ci è più familiare e tipico e che in quanto tale ci suona come "giusto" e "normale". In Turchia però c'era una recrudescenza forte di questa sclerotizzazione, una chiusura mentale molto più diffusa e marcata e che mi ha stupito... nonostante mi renda conto che anche nella nostra lieta Italia di certe chiuse sclerotizzazioni non ne mancano.




Il culinario angolo turco

La cucina turca è giudicata una delle più ricche e raffinate del Mediterraneo. Io non mi intendo di raffinatezze ma ho apprezzato la cucina turca - kebap a parte - per la gran varietà dei suoi piatti, per il grande uso delle verdure cucinate in diverse modalità, per l'uso delle spezie. Non mi hanno fatto impazzire, in realtà, i dolci della tradizione turca che, come quelli greci [esiste una rivalità di fondo, storica e concettuale, tra turchi e greci. Molte sono le abitudini, le tradizioni, i piatti simili, ma guai a farlo notare! si tratta di una di quelle evidenze negate sia da una parte che dall'altra  ], sono necessariamente e eccessivamente dolci.
Ma la vasta scelta dei "contorni" verdurosi, delle melanzane usate in varie ed eventuali maniere tutte appetitose, delle "torte salate" ripiene di formaggio e verdure (i böreği di pasta sfoglia, i gözleme, i pide...), delle salse di yogurt, mi ha ampiamente soddisfatto e compiaciuta .

venerdì 1 ottobre 2010

La Turchia nel cuore: ricordi, scoperte, nostalgie e bellezze di un'estate tutta particolare.

Sono un essere abominevole, lo so... sono tornata da più di due settimane, anzi quasi da tre, e ancora non mi ero decisa ad aggiornare, pur pensandolo e pensandoci ogni istante. Ci sono stati mille e mille impicci, fattori, questioni, che hanno ritardato il mio dovuto aggiornamento: anzitutto lo scombussolamentro da ritorno e la voglia di chiudersi al mondo esterno che m'ha assalito per la prima settimana; la necessità di riambientarsi qua, di cercare per quanto possibile di riorganizzarmi la vita, di scacciare le piccole malinconie e la voglia, costante nei primi giorni dal rientro, di versare qualche lacrimuccia; problemi tecnici con Blogger che mi assillano sul mio computer (sto scrivendo dal pc piccolo da viaggio che è di usufrutto di tutta la famiglia). Presa tra la mia inguaribile ed innata pigrizia e problemi tecnici e tecnologici indipendenti dalla mia volontà , mi ritrovo soltanto adesso ad aggiornare.
Tornata in una casa che all'inizio non sentivo più nemmeno tale, ho vissuto (per un periodo breve a dire il vero) la condizione del viandante, condizione che Friedrich Nietzsche privilegiava ma che mi rendo conto di trovare faticosa: ricca, florida, piena di esperienze e di confronti, ma carica del peso di non sentirsi mai davvero a casa propria. Adesso che di tempo ne è passato dal mio ritorno, so e sento che è questa casa mia, il posto del mio passato, dove sono cresciuta e mi sono formata, il posto del mio presente e del mio (almeno prossimo) futuro... ma il ricordo di Bodrum, della Turchia, della mia stagione estiva, mi resta saldo nella memoria e a volte batte in una zona vicina al cuore. Mi stupisco a sentirla un po' "mia", la Turchia, con le sue tradizioni, le sue contraddizioni, la sua gente e la sua lingua... in un processo di appartenenza che ha impiegato mesi per installarmisi in pancia e che s'è accentuato nell'ultimo periodo della mia permanenza a Bodrum.
E' difficile salutare come un ricordo un luogo e un contesto che è stato il posto dove per 3 mesi e mezzo (e non mi sembrano pochi) ho vissuto, interagito, costruito, fatto; è difficile archiviarlo come parte della propria vita passata, come altra dimensione trascorsa del proprio esistere. E' stato più facile - mi stupisce pensarlo - lasciare il contesto universitario; ma forse questa facilità è dovuta al fatto che per mesi, e ancora adesso, continuo a ruotare attorno all'asse universitario, avendo come amici e/o conoscenti ragazzi/e che fanno l'università, ritrovandomi spesso, quando vado a Pisa, nella mia ormai ex biblioteca o usufruendo (finché mi è attiva la tessera ) del servizio di mensa universitario. Per la Turchia il taglio è stato quasi totale: sì, certo, sono o potrei essere virtualmente in contatto (via Facebook) con tutti o quasi i miei ex colleghi animatori e con qualche ospite italiano che ho conosciuto durante i tre mesi. Ma il contesto è diverso, perché ancor più delle persone (anche se ce n'è qualcuna che mi manca davvero ) mi manca il contesto: il contesto delle abitudini quotidiane, settimanali, serali. Il contesto in cui alla fine avevo un ruolo e una collocazione, un contesto che mi dava sempre nuovi elementi da scoprire, una volta che ho deciso di aprirmi alla tradizione che mi circondava e di accoglierla come nuova conoscenza da accumulare.
Non è stato sempre così... sono arrivata davvero indifferente e insofferente a ciò che mi circondava. Le difficoltà mi si sono mostrate più grandi di quelle che mi ero figurata: ero presuntuosa, forse, o forse non mi ero aspettata di trovarmi così catapultata in un contesto talmente estraneo. Pensavo con l'inglese di cavarmela ovunque, pensavo di sapere un inglese migliore di quello che effettivamente sapevo; e probabilmente su carta il mio inglese era buono, ma in pratica è tutta un'altra cosa... e non avevo fatto i conti con la Turchia!
Arrivata i primi di giugno, gli ospiti erano quasi tutti turchi... e ben pochi parlavano inglese! Nemmeno una parola! Era asfissiante passare 8 ore e mezzo della propria giornata (ovverosia la mia giornata lavorativa diurna, in cui soggiornavo nel miniclub del resort) con bambini che (per ragione d'età) non parlavano una parola di inglese e non mi capivano, interagire con genitori che non parlavano inglese ma turco e sentire la mia collega dell'animazione internazionale ciacolare in turco con bambini e genitori, senza che riuscissi a capirci niente.
L'animazione internazionale... Io facevo parte del team di animazione del Tour Operator Turban Italia, che come già emerge dal nome era italiano: eravamo quattro e italiani e affiancavano l'animazione internazionale, costituita in realtà da turchi e da una minoranza russa. L'esperienza con l'animazione internazionale (l'"internazionale-turca", come amavo descriverla agli ospiti italiani) è stata una delle più dinamiche che abbia mai esperito: qualcuno, un Grande Fratello dell'Animazione (internazionale)turca, gestiva i suoi componenti facendoli ruotare da un resort all'altro ogni volta che si comportavano in maniera scorretta; così, in una stagione, ho visto passarmi davanti agli occhi più colleghi animatori di quanti ne avrei mai detti. Il team dell'internazionale è cambiato totalmente quanto meno un paio di volte; ci sono state apparizioni di nuovi animatori durate l'ordine di giorni; ho avuto tre colleghe diverse "di lunga data" al Mini Club, e un paio di apparizioni fugaci trasferite nell'arco di qualche giorno.
I primi tempi sono stata fermamente convinta di tornare a casa: pagare la penale, pagarmi il viaggio di ritorno e risarcire l'andata, e tornarmene in Italia. Non ne potevo davvero più di sentirmi così tagliata fuori, di non capire niente né del turco (per ovvi motivi) né dell'inglese... già perché il mio inglese messo in pratica non era tanto buono e non mi permetteva di comprendere tutto. Per non parlare dei miei interlocutori... perché l'inglese parlato dai turchi è qualcosa di sostanzialmente incomprensibile. Sono stata zitta (e dico, zitta! ma dove mai s'è vista una Giulia che tace? ) per le prime due settimane cercando di farmi l'orecchio alla parlata dei miei colleghi turchi quando parlavano inglese; e per fortuna questo orecchio l'ho fatto. Ma ciò non cacciava ancora la sensazione sconfortante di smarrimento totale, di solitudine, di non essere a posto e nel posto dove stavo.
E se speravo (illusione della presuntuosa, senza dubbio) di "consolarmi" (per quanto possibile) con lo spettacolo serale, anche qui mi sono scontrata con una sonora delusione: per motivi che ancora mi sono ignoti - perché non suffragati da evidenze empiriche, da prove effettive o simili - il capo dell'internazionale aveva optato per la mia incapacità totale sul palco, relegandomi ai ruoli più marginali. E' vero, sono una schiappa a ballare, ma credo sul palco, come "attrice", di cavarmela decentemente: e mi indignava - come ancora mi lascia perplessa- il modo in cui mi aveva catalogata come "incapace" senza avermi mai davvero visto sul palco. L'unica consolazione vera, è che alla fine ero diventata la "cameraman" del team.
... in ogni caso, comunque, ruoli veri non ne ho avuti mai. E questo all'inizio ha rappresentato per me una piccola tragedia. Sembra stupido, lo so perfettamente, è stupido, è stato stupido; ma l'essere esclusa in questo modo dai giochi mi faceva sentire accettata a metà, o in parte, o mal tollerata, e incrementava ancor più il disagio di sentirsi linguisticamente tagliata fuori (almeno in parte) dalla vita del resort.
Poi le cose hanno cominciato a cambiare. Non ricordo bene quando... anche se forse è stato semplicemente quando siamo entrati nel vivo della stagione, quando gli ospiti sono stati tanti, quando ho avuto italiani a cui badare, e non più tempo per farmi certe "seghe mentali". Non ho più pensato (se non di sfuggita) alle parti che non ho avuto mai, più pensato alla voglia di tornare a casa, che in realtà non c'è più stata; non che mi trovassi sempre e comunque bene, il mio umore era se possibile ancora più volubile del solito, alternando giorni di serenità a giorni di noia di sconforto di disorientamento di rabbia.
Ma ero comunque là, a Bodrum, a Yali Ciftlik, al Latanya Beach Resort; e non avrei voluto essere in altro posto, o quanto meno non ci pensavo minimamente, ad essere altrove. Nei periodi più bui ho più che altro pensato e/o desiderato di "non essere"... ma la mia collocazione reale rimaneva comunque e sempre la Turchia.
E come ho imparato ad amarla! La Turchia, intendo, e alla fin fine anche la mia vita lì, con ciò che aveva di buono e di cattivo, di piacevole e di spiacevole: la sveglia la mattina alle 7 e 30, poi spostata alle 8 o alle 8 e 30 per poi diventare standard alle 7 e 45 così da fare in tempo colazione nel ristorante dello staff (infatti noi animatori potevamo fare colazione e pranzo non nel ristorante principale ma in quello dello staff, cioé di quelli che lavoravano nel resort: dai camerier ai cuochi agli house-keeping al fotografo etc....), gli innumerevoli meeting giornalieri che alla fine avevano perso in parte il loro senso, l'apertura del mini club alle 10, il pranzo alle 12 e 30, le prove alle 13 - quando c'erano prove- l'apertura pomeridiana del mini club e la chiusura agognata, la cena nel ristorante principale, lo spettacolo serale, la tragica e universalmente odiata ora nella discoteca del resort, da mezzanotte all'una di notte.
Una volta che ci sono stati ospiti italiani, il momento della chiusura del mini club, oltre che i quaranta minuti di cena, erano il mio preferito... quello del contatto, che per gli animatori "diurni" (i non-mini clubber, per intendersi) era routine, era lavoro, era dovere, e che anche nei momenti in cui mi sono sentita professionalmente un'inetta e umanamente un'incapace per me ha rappresentato la più bella attività e la migliore consolazione: la conoscenza e la chiacchiera con gli ospiti (anche con gli stranieri potevo parlare, ovviamente, ma i miei preferiti, per motivi linguistici oltre che professionali, erano ovviamente gli italiani).
Ad agosto ne abbiamo avuti anche 200, di italiani (cifra che non fa certo girare la testa, ma che era alta per un resort che aveva la capienza di più o meno 500 persone), ed è stato il mio momento preferito, anche se in teoria doveva essere il più impegnato, stancante e impegnativo (ma di bambini italiani, che dovevano essere i miei "obiettivi" prediletti, ad agosto non ce ne sono stati tanti); adoravo vagare per la spiaggia, nonostante la stanchezza di 8 ore e mezzo di lavoro (sì, era mini club, ma vorrei vedervici voi a sopportarvi per ore bambini urlanti che di solito parlavano linguaggi a me incomprensibili ), a cercare i braccialetti verdi (infatti gli ospiti maggiorenni avevano braccialetti dell'All Inclusive di colore diverso a seconda della nazionalità di appartenenza... e gli italiani erano verdi), a intavolare presentazioni, chiacchiere, discussioni; o a parlare con quelli che già conoscevo.
Le settimane alla fine sono volate... ma ogni settimana era per me un'eternità. Ho avuto una percezione distorta e fallace del tempo, perché una settimana era una vita, era il tempo in cui di solito ogni ospite restava e in cui dovevo con i nuovi italiani creare nuove conoscenze, nuovi equilibri, nuovi modi di stare insieme. Le settimane si sono rincorse una dietro all'altra, ma quando una settimana finiva, e dovevo accompagnare qualche ospite italiano all'aeroporo (e/o accogliere qualcuno in arrivo... era l'impegno settimanale del lunedì, giorno in cui gli arrivi e le partenze degli italiani erano "di massa" e in cui noi 4 animatori italiani affiancavamo l'asssistente Turban e lo aiutavamo nel suo compito), mi sembrava che fosse passata un'eternità da quando avevo accompagnato gli ultimi, o da quando li avevo visti andare via. Poteva essere davvero avvilente... sono riuscita a sopravvivere cogliendo e conservando di ognuno quello che di buono mi ha dato, i bei discorsi che ho fatto, le risate che mi hanno suscitato, le cose che ho imparato.
Tutti mi hanno dato qualcosa di bello, un bel ricordo da conservare, belle parole da ricordare, belle storie e suggerimenti letterari. Ho un ricordo dolce dei bambini che ho avuto... pochi a dire il vero, perché pochi sono stati i bambini italiani sotto i dodici anni in tutta la stagione: si vede non era un resort gettonato per famiglie; un ricordo bello di Sara, Giulia, Giulia, Chiara, Ilaria, Vladi, Giulio, Riccardo, Camilla, Giorgia, e anche di Giuseppe e Lorenzo che non sono mai stati nel mini club ma che mi facevano visita tutti i giorni. Vladi che mi ha insegnato a fare gli aeropolanini di carta. Sara e Giuseppe che, in due periodi totalmente diversi (l'una a luglio e l'altro ad agosto), mi hanno insegnato e perfezionato la produzione di barchette di carta. Giulia che con la sua timidezza e la sua fantasia e la sua riservatezza mi ricordava me stessa alla sua età. La coppia Giulio-Riccardo che ho contribuito io a formare e con cui formavo un terzetto di cui ancora ho nostalgia.
E anche i bambini di altre nazionalità! Che dolci ricordi, alla fine... a volte mi hanno consolata di giornate andate così così. Bambini turchi, russi e polacchi con cui a volte è scattato qualcosa, un'affinità o una simpatia di pelle... e alcuni li ricordo ancora con affetto, anche quelli conosciuti a giugno e che quindi affondano nella mia storia remota.


Il mio regno, il Mini Club
Agosto ha contribuito a consolidarmi nel Latanya Beach Resort, ed è con agosto che ho cominciato a sentirmi più parte di una specie di team: con agosto o forse un po' prima, con la metà di luglio... Anche se la gente dell'animazione internazionale ha continuato ad andarsene e a cambiare. Alla fine, a settembre, mi sentivo proprio parte del Latanya: oltre agli animatori che ringrazio calorosamente di essermi stati vicini per tutta la stagione (questo pensiero rivolto particolarmente a Nicolò, Davide e Marcella, gli altri italiani) o per parte di essa, sia che ci fosse tra noi simpatia, attrazione, indifferenza, conoscevo tanti camerieri, cuochi, baristi, le house-keeping... e tutti loro, tutti, voglio ringraziare, anche quelli di cui non ricordo o non ho mai saputo il nome, quelli che pur avendo salutato solo di sfuggita mi tenevano da parte i biscotti o la frutta dal bar, che sapevano il mio nome anche se a me sembrava di non averli mai visti.
E con loro ho imparato a conoscere, ad amare, la Turchia, con le sue tradizioni i suoi usi le sue musiche e le sue abitudini. Con le sue feste e col suo modo di (non) essere musulmana, perché tanti ci tenevano a ribadire che la Turchia non è musulmana anche se il 90% dei suoi abitanti professa quella religione.
Ad amare (ma questo l'ho amato fin dal primo giorno che ho messo il naso fuori di camera) il mare che avevo di fronte e nelle orecchie ogni giorno e che nel giorno libero mi dava il buongiorno ancor prima della colazione (era d'uso per me fare nel giorno libero il bagno appena svegliata, prima del bucato della spazzata in camera della colazione):


Spettacolo questo che a mio parere batteva di mille volte quello del mare - ugualmente cristallino e meraviglioso, certo, ma molto più artificioso - di fronte al resort... Noi animatori dormivamo infatti in un motel appena di fianco al resort ma che aveva la spiaggia divisa da quella del resort:


E ancora la meraviglia del mare che ho potuto ammirare nella gita in barca fatta con tre delle mie colleghe o su una piccola caletta cui mi ha condotta una mia conoscenza turca... il mare che sapeva di bello e di selvaggio, quel selvaggio che tanto mi ha rapita della Turchia.


Dalla barca:





La caletta di mare turco a Yali Ciftlik:



Quella parte di Turchia che ho visto io era la presenza selvatica della natura, quel selvaggio di cui nei giorni liberi andavo in caccia, estasiandomi del fatto che fichi abbandonati giacevano ai bordi delle strade carichi di frutti maturi o quasi maturi, tanto che una volta ciu ho fatto una scorpacciata pazzesca e ne ho raccolti a chili portandoli in stanza per me e la mia coinquilina (l'altra animatrice italiana) Marcella... ma ne ho raccolti troppi e molti sono ammuffiti prima che potessi addentarli , degli olivi (una volta appurato che di olivi si trattava) che sbucavano ovunque, anche nel parco giochi del mini club, dei cani liberi e dolcissimi, delle mucche che brucavano sui bordi delle strade, delle galline che vagavano indisturbate per i vicoli e che fornivano le uova che mangiate al resort, delle oche che ho incrociato una mattina.... (quelle della foto)








E qui un gatto (anzi, IL gatto boss del villaggio... c'erano molti gatti che vagavano nel resort ma quello che ho fotografato aveva il dominio indiscusso ed era con gran probabilità padre di molti di quelli che ho conosciuto a giugno piccoli e ho salutato a settembre in piena adolescenza):



La Turchia, il paese delle contraddizioni, della modernità e della tradizione, il paese in cui la pillola del giorno dopo si vende in farmacia senza ricetta e in cui in certe zone le donne devono ancora coprirsi, dove le ragazze vanno all'università, si laureano, lavorano e vengono in vacanza e dove alcune matrone fanno il bagno vestite e velate, dove chiunque ha Internet ma non tutti riescono a essere consapevoli che il mondo non si ferma ai confini turchi, o che comunque il resto del mondo non conosce le usanze e le tradizioni turche. A metà, davvero, tra Oriente e Occidente (dando a questi due termini l'inesatta accezione di "tradizione, chiusura" e di "modernità, progresso"), tra chiusura e avanzata. E ricco di storia, di tradizioni, di culture; un paese che non avevo mai creduto potesse essere così bello, così ricco, così intrigante in ciò che ha di stridente... Pieno di storia, che ho apprezzato concretamente solo una volta intrufolandomi durante il giorno libero nmella gita organizzata dalla Turban ad Efeso, antica città di cui ci restano solo rovine, città colta, città ricca, che aveva un enorme anfiteatro, una bella biblioteca, di fronte alla quale mi sono fatta fotografare dalla mia ex professoressa di psicologia dell'Università... che era stata a Istanbul per poi riposarsi al Latanya, e ha avuto me come animatrice! Che giochi che ci fa la casualità... non vedersi mai a Pisa (e sì che per un periodo ci ho girato tanto) e incrociarsi in Turchia.





Con due foto concludo per ora la mia malinconica reminiscenza: una mi è stata scattata il 30 agosto (giorno in cui ricorre la fondazione, se così si può dire, della repubblica turca) nella mia vestitura ufficiale da animatrice e da mini clubber, con la coroncina di rami di ulivo manufatta che ho indossato per un mese (ovviamente rifacendola ogni 2-3 giorni) facendo ridere e divertire i bambini ma anche gli adulti e guadagnandomi così una certa spiccata identità, cercando di sfuggire all'anonimità cui ho sempre visto relegate le mini clubbers.
E l'altra scattata un di' forse di fine luglio, al concludersi del nostro grande show del sabato, Snowhite, in cui avevo una misera parte finale che però ho portato con orgoglio: il prete (io che son così anticlericale!) che fustigava tutti con prezzemolo immerso nell'acqua... una goduria, ci potete scommettere!


Chiudo così, senza ricette, senza accenni gastronomici, questa carrellata di rimembranze, che non è che la prima di una lunga serie (che in realtà potrebbe contare solo due post: questo e il prossimo che verrà). Successivamente farò ben più riferimenti alla cucina e alle usanze gastronomiche turche, che ho potuto assaporare per tre mesi... (godendo però di foto non mie ma rubate da Internet... perché disgrazia volle che sia cellulare che macchina fotografica si siano rotti a metà luglio costringendomi a racimolare altre foto dagli ospiti o dai miei colleghi italiani).
Vi do (e mi do altrettanti) un bentornato nel mondo del mio blog, sperando di riuscire ad aggiornarlo più in fretta e con goduriose e gustose novità.
Un abbraccio e un merhaba ("ciao" in turco) a tutti e a riaggiornarci presto con "Ricordi della Turchia: parte 2 (l'universo gastronomico)"




Giulia




















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