"Perché una realtà non ci fu data e non c'è; ma dobbiamo farcela noi, se vogliamo essere; e non sarà mai una per sempre, ma di continuo e infinitamente mutabile"

(Luigi Pirandello)

giovedì 24 dicembre 2009

Auguri senza se e senza ma... però con un tocco light: torta cacao, pere e cannella senza grassi aggiunti (con gustose variazioni a seguire)

Sì, lo so... Ho fatto quella lunga riflessione sul Natale, su come non lo sento e come non ne concepisco la portata, e adesso me ne vengo qua bel bella a porgervi i miei più caldi auguri. Un tantino incoerente eh? 
Non so se per dare un significato a questo, e al fatto che sono sempre caduta preda dell'usanza del "regalo a parenti-amici-conoscenti" e per giustificarmi ai miei occhi di atea integerrima, mi piace pensare a questi giorni di feste comandate (comandate da chi a proposito? chi è che comanda le feste? Da piccola pensavo che questo termine si riferisse allo Stato, perchè lo Stato disponeva che tutte o quasi le attività lavorative cessassero... ma adesso ho meno sicurezze di quel periodo di lieta fanciullezza, e una maggiore capacità di perdermi dietro alle parole, e questo comando non risulta più tanto scontato... ) come un pretesto per fare semplicemente gli auguri ai miei più cari, alle persone cui sono affezionata, alle persone in generale.
L'augurio non si limita, una volta fatto, al solo Natale. O meglio, negli ultimi anni i miei lunghissimi bigliettini di auguri (prolissi più o meno come le premesse che faccio alle ricette, avete presente?  ) si riferivano ad un più ampio contesto, a quello della vita intesa come campo di aspirazioni, di desideri, di speranze, di volontà; a tutto quello che vogliamo o che speriamo di realizzare, ai nostri sogni, a quello per cui stiamo lottando o lotteremo o vorremo lottare. Oppure l'augurio di trovare la forza d'animo per farlo.

Perchè limitarmi a fare gli auguri per una festa che non condivido?

Alla fine, non faccio che essere fedele alla resa etimologica del termine augurio stesso , 'Augurio ': l’aùgure, in latino  'àugurem ', era un sacerdote indovino che cercava di prevedere il futuro osservando e interpretando il volo degli uccelli o i sogni, ed era molto stimato dalla gente. La parola  'àugurem ' deriva da  'àugere ' che significa “aumentare”, probabilmente perché questo sacerdote era di solito ottimista e veniva considerato “la persona che dà l’accrescimento” insomma che dà qualcosa di positivo, di buono, che fa crescere, cioè “colui che dà presagi favorevoli”. La parola  'augurare '  deriva dal latino  'augurare ' che voleva dire “fare il lavoro di augure”, quindi “preannunciare notizie”, che, come abbiamo visto, erano di solito buone. Perciò quando noi, pur senza essere veggenti, facciamo gli auguri a qualcuno, in un certo senso gli prediciamo che gli succederanno tante belle cose.


E allora auguri cari miei. A tutti i colleghi blogger che mi leggeranno, ma anche a chi "non-blogger" passerà di qui perchè traviato da chissà quale motore di ricerca (il solito caro, vecchio Google per dirne uno). Auguri per tutto quello che volete, sperate, lottate, cercate. Auguri perchè quest'anno che sta per cominciare possiate ricordarlo come complessivamente positivo. Auguri perché possiate fiorire instancabilmente nella realizzazione piena di ciò che volete essere.
E AUGURI (già che ci siamo, non stona mai) per un'Italia più nuova, in cui la libertà di pensiero di parola di espressione non debba essere rivendicata come un privilegio ma sia semplicemente una cosa ovvia. Auguri a noi, perché continuiamo ancora a dire la nostra, a esprimerci in ciò che vogliamo, e perché abbiamo trovato Internet come canale di - per ora, almeno- piena libertà.

Come dolce augurale, vi lascio questa torta che mi piace definire light, così da non dovermi sentire in colpa nel dopo-Natale quando tutti, oberati da feste festini e cenoni, torneremo a fare i conti con la pesante realtà  : l'ha scoperto mia madre su Giboncook, anche se -ironicamente- già da un paio d'anni ne avevo scoperta una versione in pratica identica su Gustosa...Mente, limitandomi ad archiviarla come un'"eccentrica ricetta" a cui col passar del tempo non avevo più pensato (questa coincidenza l'ho scoperta per puro caso, spulciando nell'archivio annoso di ricette nel faticoso tentativo di ordinarlo).
Lode a mia madre che l'ha scoperta per altre vie! Si tratta di una delle più meravigliose scoperte culinarie dell'anno (che nel complesso è stato tutto meno che positivo, ma che quanto meno ha profilato una serie piuttosto cospicua di "scoperte culinarie" che hanno riempito la mia mente e addolcito il mio palato). E' una torta decisamente cioccolatosa con una caratteristica che mi permette di spacciarla come light, nonostante la grande quantità di cacao: non è previsto l'uso di grassi - né saturi né insaturi, né di origine animale né di origine vegetale- né di uova. 
Questo non inficia la riuscita della torta, che è perfetta e golosissima... non troppo dolce, è perfetta anche per la colazione (oltre che per ogni altro momento della giornata, è chiaro  )



Con questa ricetta partecipo alla raccolta di Gaijina In Forma Con Gusto

 



nb piccolino che spero non rovini l'atmosfera augurale: In questi ultimi periodi blogger mi da' dei fastidi. Dal post sulla torta di uva e cipolle ho aggiornato abbondantemente, ma gli aggiornamenti non sono registrati da nessuna parte, a parte ovviamente sul blog stesso... Né sui blog che mi hanno tra i preferiti né nei programmi di aggregazione di blog, come Il bloggatore, a cui sono registrata... 
Non mi sembra di aver fatto niente per alterare il labile equilibrio su cui si regge il mo blog quindi non so cosa fare, come intervenire... avete mica idee o ipotesi da proporre? 



Non c'è epoca dell'anno più gentile e buona, per il mondo dell'industria e del commercio, che il Natale e le settimane precedenti. Sale dalle vie il tremulo suono delle zampogne; e le società anonime, fino a ieri freddamente intente a calcolare fatturato e dividendi, aprono il cuore agli affetti e al sorriso.
 (Italo Calvino: "Marcovaldo)



 
Torta con cacao, pere e cannella (senza grassi aggiunti)



venerdì 11 dicembre 2009

Pensiero pseudo-natalizio per un piatto di umili origini, la miascia e la versatilità più folle...

Anche a volerlo ignorare, mi si infila ovunque: su Internet, in televisione, alla radio, nei discorsi con la gente... e persino, sì lo ammetto, nei miei pensieri. Tranquilli, non sto parlando di Berlusconi... stavolta.
Ce ne sarebbero di cose da dire, ovviamente...  Sia chiaro, mica solo su di lui (anche se lui ne occuperebbe gran parte)... ma di una generale situazione dell'Italia, che coinvolge il governo, il Vaticano, la questione della RU486, una più generica volontà di negare la libertà, la possibilità di scegliere, di discernere, persino di capire (ma l'avete sentita quella pazzia proposta da Quagliarello, Bianconi e Gasparri di estendere la capacità giurica al concepito - qualunque cosa si possa intendere con questo termine- dichiarando la volontà di voler così TUTELARE la 194 sull'aborto? ma siamo matti?! estendere all'embrione, al nascituro, la stessa tutela morale del nato significare negare in sé la possibilità dell'aborto quale che sia... anche l'aborto spontaneo tra l'altro...  )

Ma non è di questo che voglio parlare oggi... sono piuttosto di buonumore, stranamente, e non voglio dovermi incupire.
Nell'incipit mi riferivo al Natale.
Come forse sapete meglio di me, la fatidica data si sta avvicinando, ed il suo martellante memento ci risuona nelle orecchie da un mese a questa parte. In sé non ho niente contro la festività natalizia... In quanto atea sono insensibile alla sua significazione religiosa, che pure credo sia essenziale, poiché è il 25 dicembre che è venuto alla luce Gesù, o meglio Cristo, su cui si fonda- lo dice anche il nome- la religione cristiana nel suo complesso.
Se Cristo non fosse nato - dato ex hypotesis che sia effettivamente esistito un tale (o più d'uno) che si faceva chiamare Gesù, o Cristo, e che se ne andava in giro a dichiarare di essere figlio di Dio e a far prediche encomiabili sulla fratellanza e l'amore - la religione cristiana non sarebbe mai esistita. Una disgrazia, forse. O forse una fortuna, per chi considera retrospettivamente tutte le stragi e le umiliazioni compiute in suo nome... anche se indubbiamente se non ci fosse stata la religione cristiana, qualche altra predica sarebbe stata trovata per servire da strumento del potere.
Io non ce l'ho con la predica cristiana, sia chiaro. Gesù ha detto cose meravigliosamente rivoluzionarie per i suoi tempi, parole che hanno sollevato per secoli i miserabili e i poveri, ciò che nessuno aveva mai detto (o promesso) loro. Che sia esistito o no, ha dato voce a valori straordinariamente umani, che non sono solo dote dei cristiani ma di ogni essere umano che obbedisce all'impulso empatico e simpatico che gli è proprio per natura. 
Ciò che critico è l'uso che è stato fatto della religione cristiana dagli altri uomini. A questo si deve la mia acidità. E questo mi da' fastidio del Natale, anche, oltre al fatto che è diventato una frettolosa e affannata rincorsa al consumo, all'acquisto, all'avere di più e a mostrare di più: il fatto che è un pretesto per gli uomini del Vaticano di dichiarare la specialità dei valori cristiani che in quanto tali sono universali, di parlare ipocritamente di umiltà, di povertà, di "dare al prossimo", quando loro tutto pensano meno che a questo, quando le banche Vaticane sono tra le più ricche del mondo! 
Mi da' fastidio un gran sentire parlare di solidarietà, di fratellanza, di uguaglianza, di amore, con così grande insistenza nel periodo di Natale... ma queste non sono cose ovvie?! Che dovremmo ricordarci sempre, ogni momento del nostro esistere? o che dovrebbero essere così scontate da non dover essere nemmeno ricordate...
Certo, direte voi, meglio ricordarle una volta l'anno che mai, e questo è vero.  Da piccola ho festeggiato il Natale, anch'io... certo... anche quando ho cominciato, verso i dieci/undici anni (il periodo in cui è cominciato il mio interrogarmi sulla morte, sulla divinità, sul mio rapporto con essa e con il mondo), ad avere dubbi di coerenza al riguardo, cominciando ad interrogarmi sulla correttezza che io, che mi dichiaravo atea, festeggiassi la festa cristiana per antonomasia. Ma prima questi dubbi non c'erano: mi piaceva l'aria natalizia, gli odori del Natale, mi piaceva che in quel periodo io (e quando era più grande, anche mia sorella) eravamo a casa da scuola e mio padre dal lavoro, adoravo addobbare l'albero con le più bizzarre decorazioni, mi piaceva fare il presepe e giocarci (me lo ricordo ancora, c'erano più pecore che persone!), adoravo la sorpresa della mattina di Natale anche quando ho capito che Babbo Natale non esisteva. Cantavo anche le canzoncine natalizie, credo di averle sapute quasi tutte... anche se da subito - almeno, da quando ho memoria- il contrasto tra le dichiarazioni in esse contenute (è Natale, non si soffre più) e la realtà effettiva, mi creava un certo disagio. Ma accettavo la licenza poetica e continuavo a cantare.
Crescendo il Natale ha perso di senso, come è svanita l'eccitazione del presepe, dell'albero di Natale, dei regali. Con l'inizio dell'università, poi, non è stato nemmeno più motivo di gioire per un periodo di assenza di impegni, perché è anzi in quel periodo che gli impegni si intensificano, in vista degli appelli di gennaio/febbraio.
La festa in sé è da anni che mi è del tutto indifferente, se non fosse per quelle facce del Vaticano che hanno sempre da sblaterare qualcosa... anche se a ben pensarci per una volta lo fanno a ragione, visto che è la loro festa questa, non la mia. 
E poi adesso ha assunto un odore nuovo... l'odore aspro e malinconico dell'anno che se ne va, con tutto quello che ha comportato, tutte le scoperte le novità i litigi i fallimenti i pentimenti i fallimenti... credo sia naturale fare un bilancio dell'anno che sta finendo. Forse sperare nel prossimo. 
E quando la bocca me la voglio addolcire, piuttosto che ripensare a quest'anno 2009 che si sta chiudendo - che di dolce ha avuto ben poco- preferisco tornare indietro... indietro... a quando il Natale era altro, era festa. Quello di cui parlavo sopra, la bellezza dei Natali dell'infanzia. 
Prima che arrivasse la dannata consapevolezza di sé, delle proprie convinzioni, idee, aspirazioni, prima che dovessi risponderne io di tutti i miei atti, e pagarmele totalmente le mie responsabilità...
Non dico che questo non sia un prezzo accettabili per acquisire quello che è, perdonatemi il termine, il "diventare grandi", o almeno il "provare a diventare grandi". Ma a volte vorrei tornare indietro, quando non avevo da rispondere completamente di ogni errore fatto, quando avevo meno pensieri, meno dubbi, meno responsabilità.
A quando ci credevo, un po', che magari all'inizio Natale era una festa per i poveri e gli umili, e non questa brutta mostra di consumismo che ogni festa è diventata. E in nome di un'umiltà decantata dalle più alte cariche ecclesiastiche che nei fatti la negano, vi propongo questa ricetta qua. 
Ha una genesi quasi ridicola. Quest'estate i miei genitori si sono fatti una bella vacanza di una decina di giorni, lasciando in casa me e mia sorella sole: sono stata padrona quasi indiscussa della cucina per tutto quel periodo . A un certo punto mi sono ritrovata di fronte ad una questione tragica di "avanzi": oltre a dell'uva che stava assumendo variazioni cromatiche inquietanti, mi si presentò il problema di come utilizzare tre pagnotte di pane pronte già da prima che i miei partissero e che io e mia sorella avevamo a malapena toccato (mi ero sbizzarrita con risotti, paste al forno e sfornato interessanti panini, e il pane "comune" era passato un po' in secondo piano ).
Potevo seguire la tradizione familiare per riciclare il pane: una sana pappa col pomodoro, oppure la classica panzanella. Ma in un impeto emancipazionista, volli essere un minimo originale: ho pensato anzitutto ad una torta salata di pane raffermo e pomodori ispiratami da Marsettina e che prima o poi - spero prima- vi proporrò (pur non essendo stagione di pomodori questa... ma l'ho archiviata da tanto nelle ricette da pubblicare, già corredata di foto); poi ho pensato che io e mia sorella non ce l'avremmo mica fatta a finirla tutta in pochi giorni e rischiava di non essere più buona e di doverla buttare ...  E spulciando su Internet ho trovato questa qua: una torta povera originaria della zona di Como, utile per riciclare il pane raffermo e la frutta non più freschissima. 

Ottimo per il mio pane e il grappolo d'uva decadente! Ho consultato tantissime ricette trovate qua e là su Internet, tanto che non so indicare una fonte precisa: l'idea e il nome della ricetta l'ho avuta però da FraGolosi. La mia ricetta, fin da subito, è stata diversa da quella (per poi subire ulteriori miglioramenti col passare del tempo e delle prove), ma è su FraGolosi che ho scoperto l'esistenza di una torta di pane raffermo e frutta che si chiama miascia.




Una ultima essenziale precisazione: la miascia è un dolce povero che serviva a riciclare il pane secco. Non c'è una versione ortodossa ed esatta, né una indicazione dogmatica riguardo alla frutta contenuta. Per dirla in maniera semplice, la gente ci metteva un po' quello che aveva in casa: la frutta di stagione disponibile, frutta secca, cioccolato, liquore... Io vi do' la versione che ho fatto io le prime volte, ma vi sto semplicemente suggerendo una base, un'idea, per usare il pane raffermo e della frutta non eccellente, qualunque essa sia.



Con questa ricetta partecipo alla raccolta di Vale Il pane secco... non si butta 


 




 Quel povero vecchino...

Sobbalzai...

           Ero io?...

Era Dio?... 

              Solo 
nel buio Sottopassaggio,
straziava il suo magro violino...
Per chiedere la carità?...

(D'un soldo?

                Di che altro?...

                                    Chissà. Forse
di un grano di pietà?)

(Giorgio Caproni: "Res Amissa")




Miascia



















mercoledì 2 dicembre 2009

L'apparenza e l'apparire... Nella vita quotidiana come in cucina: biscotti al cocco e cioccolato e la raccolta di Micaela

Quante volte ci siamo sentiti dire, fin da bambini, di andare oltre l'apparenza? Di non giudicare in relazione a quanto avevamo di fronte agli occhi? Di imparare a guardare oltre?
Come se l'oltre fosse migliore. Come se al di là ci fosse qualcosa di più bello da vedere. O di più vero. Come insegna un vecchio motto, "l'apparenza inganna"... 
Eppure perché caricare il termine apparenza di un valore tanto negativo? Alla fine, l'apparenza è ciò che appare, e perchè ciò che appare è in sè negativo? ciò che appare è il fenomeno, è ciò che ci si manifesta esternamente, è ciò che è colto dai nostri sensi... e questo, di per sé, lo bolla come sbagliato? 
C'è un retaggio antico, credo, nella tendenza a bollare l'apparenza di sbagliato, di inadeguato, di falso: è un rimando a una sostanza, a una verità, a un Essere, che si cela dietro ciò che possiamo cogliere e toccare. Una forma, un'essenza, un qualcosa-di-più che i nostri sensi non possono afferrare.
Parmenide, Kant, Schophenahuer, per dirne tre (i primi, probabilmente i più banali, che mi vengono in mente) hanno posto una realtà più vera al di là di quella che ci tocca; per quanto Kant sapesse che la realtà fenomenica è l'unica con cui abbiamo concretamente a che fare, non ha potuto fare a meno di postulare, perchè di questo si tratta, un noumeno, una "cosa in sé" al di là del percepibile.
Schopenhauer e Parmenide consideravano il fenomenico un inganno, o comunque una falsità. L'Essere di Parmenide era oltre l'apparire, e la Volontà di Schopenhauer al di là del fenomenico velo di Maya.
Ma quanti esempi mi potreste trovare, di pensatori, filosofi, scrittori, o che so io, che hanno posto l'apparenza come ciò che cela il vero? E' come se l'uomo avesse paura di ciò che gli sfugge e volesse fissarlo in qualcosa di immutabile.
Anche se a volte non posso negare che ciò che definiamo apparenza, e che è tutt'altro dal semplice fenomeno, inganna. A un livello più modesto di tutte queste grandi proflusioni sull'Essere reale che sta dietro un velo ingannatore. Sostengo fieramente che la realtà vera è quella che esperisco e che posso mostrare e dimostrare... anche se certe entità di cui psotulo l'esistenza, come gli atomi ad esempio, potrebbero far vacillare questa mia fiera convinzione...
A un livello di puro fenomeno l'apparenza - ciò che viene mostrato anzitutto- può ingannare perché nasconde altro, lo cela, non ce lo fa conoscere. Propone un qualcosa di diverso dalla realtà effettiva, e in questo inganna.
Troppo spesso ho assunto certi atteggiamenti per non far conoscere com'ero, come sono, davvero. Spesso dobbiamo farlo in considerazione delle circostanze, a volte perché il modo in cui ci sentiamo non ci piace.
Ma nascondere la nostra polvere sotto il tappeto non serve a disintegrarla. Qualcuno mi disse che a forza di fingere si può incidere su ciò che effettivamente siamo, e forse è vero, perché ci si abitua a tutto, anche ad assumere autenticamente ciò che autentico non è. E anche qui distinguere il vero dal falso, l'autenticità dall'apparenza, risulta essere arduo...
Il mondo e la psiche umana sono talmente complessi, che è difficile separare nettamente vero e falso, nero e bianco. E' quasi retorico dire che il mondo è modulato secondo una gradazione di grigi, ma più che cerco di chiarire, di distinguere, di separare, di dichiarare una realtà vera, più che mi scontro contro il difficile intreccio che è questa realtà. 
Eppure a volte tutti noi mettiamo un velo, una maschera, di fronte a ciò che sappiamo di essere, e senza soluzione di continuità.
E' indubbio, d'altronde, che ciò che appare a primo acchito, ciò che ci si mostra immediatamente, ci colpisce in un determinato modo e permette di formarci un'opinione attorno alla cosa in questione. Giudichiamo quasi necessariamente da ciò che vediamo, anche se poi, al di là di questa patina, si mostra una realtà più complessa e sfumata.
Ed è molto deludente quando scopriamo che quel qualcosa- cosa o persona- su cui ci eravamo fatti una certa idea è in realtà del tutto, o in parte, diversa, da ciò che avevamo creduto. Anche perché a volte siamo noi a voler credere che una cosa sia, o possa essere, in una determinata maniera...
Ma a volte quest'inganno ci da' piacevoli sorprese, perché mostra una realtà che più ci aggrada. 
 Ed è così per questi biscotti che vado a presentarvi oggi: di primo acchito non trasmettono niente di eccezionale, e non sembrano essere niente di che, se non mediocri palline marroncine senza una vera forma e dimensione.
Una volta assaggiati, però, l'opinione è necessariamente (e dico necessariamente) destinata a mutare: questi bocconcini nascondono un morbido interno di ciocco-cocco che regala intense e vibranti emozioni.
La ricetta originale è di friariello74. L'unica mutazione approntata è sul tempo di cottura, ridotto da 10 a 8 minuti perché sul mio forno (ogni forno, si sa, è una bestia a sé...) si è rivelato essere il tempo perfetto per ottenre questo perfetto connubio di un'esteriorità imperfetta e di un interiorità morbida e sublime...




Con questa ricetta partecipo alla raccolta di Micaela del Criceto Goloso, "Biscottiamo"



Gioco del mondo, il despota,
mischia essenza e parvenza: -
l'eterna giullarata
ci getta nella mischia!...
(Friedrich Wilhelm Nietzsche: "La Gaia Scienza")



Biscotti al cocco e cioccolato






lunedì 16 novembre 2009

Il tempo se ne vola via e anche l'età dell'uva sta finendo... nostalgia e un agrodolce in torta salata quasi di ricordo...

Il fascino del passaggio. Il passaggio da un'età all'altra, da un anno all'altro, da un'epoca altra. Il passaggio che scandisce la nostra vita finita di esseri finiti.
Non che mi angosci più di essere finita e mortale, e l'idea di dover cessare di esistere, sebbene sia questo terrore ad aver generato in me, secoli fa ormai, un'ampia crisi mistica. (parlo di secoli anche se sono anni, perché ero bambina ed avevo una sensibilità lontana secoli dal modo di guardare che ho adesso) . Ma il passaggio è un pensiero che non riesco a scrollarmi di dosso.
Mi ha assillato fin dai 15 anni il riflettere su come il tempo se ne passa via, lasciando a noi del presente solo un ricordo di quello che fu. E la me del presente tende a svanire in attimo, subito superata da quella me del futuro che adesso sono diventata...
Sì, erano pensieri ossessivi di un'adolescente che così si gloriava di essere "profonda"  e riflessiva. E molte argomentazioni che portavo erano più retoriche che altro.
Ma questo pensiero, sempre presente, del passaggio, mi è rimasto dentro.
E tende a risorgere, a risplendere di nuova vita, in questo periodo dell'anno. Associo novembre, più che dicembre, alla transizione che precede il passaggio; e in questo lo allineo a tutte quelle epoche, che ricordo di aver studiato a scuola e all'università, "di passaggio", in relazione a cambiamenti storici sociali scientifici filosofici di pensiero di modi di guardare al mondo (sì, tutto di questo, perché se un po' i miei studi mi hanno insegnato, è che la realtà è una miscela di componenti reciprocamente relazionate e incidenti l'una sulle altre: un cambiamento nella storia, o nella società, nelle scoperte scientifiche, porta quasi necessariamente a un cambiamento nel modo di guardare al mondo, all'essere umano, al suo ruolo nel mondo stesso...)... epoche in cui le certezze, o quelle ritenute fino ad allora come tali, vacillano. Ricordo di aver adorato, e di amare ancora, quei periodi, perché tendono a partorire degli artisti e degli scrittori tremendamente interessanti.
E' legge di natura che ogni cosa debba passare. Passare, cambiare, trapassare. E non lo si può impedire, nemmeno con tutte quelle macchine di illusioni che l'essere umano, sconcertato di fronte alla sua impotenza, ha costruito. Siamo stati da sempre dei bei presuntuosi eh? Abbiamo avuto e ancora abbiamo presunzione d'assoluto, d'immortalità, quando questa è chiaramente impossibile...
Eraclito, che forse era più onesto, o meno ossessionato di noi dal pensiero del non-esserci-più, l'aveva già capito, nel suo famoso motto "πάντα ῥεῖ" (badate bene, non so nulla di greco! Ma la frequentazione piuttosto assidua di corsi di filosofia mi ha insegnato a scrivere e più o meno a pronunciare certe paroline che pare siano importanti nello studio del pensiero... ): tutto scorre, la realtà è regolata da un incessante divenire. A dire il vero Eraclito è vissuto così tanto tempo fa, e di lui ci restano così pochi documenti, che forse è azzardato da parte mia affibbiargli la responsabilità di una dottrina che riconosce alla realtà la caratteristiche di essere continuamente diveniente (pare che sia più da attribuirsi al suo discepolo Cratilo, che estremizzerà le posizioni del maestro).
Ma che "panta rei", cioé che tutto scorra, mi sembra un'evidenza innegabile, che non abbisogna della presenza di un qualche filosofo.
Ogni giorno passa, ogni giorno si lascia dietro ricordi, dolori, gioie, incontri. Ogni giorno spegne le speranze che abbiamo potuto nutrire, o le vede realizzate.
E ogni giorno ho un motivo in più per guardarmi indietro, per osservare quanto ho fatto finora e per masticare ancora una volta l'amaro boccone di Nietzsche, che col suo eterno ritorno ci chiese:  

Questa vita, come tu ora la vivi e l’hai vissuta, dovrai viverla ancora una volta e ancora innumerevoli volte, e non ci sarà in essa mai niente di nuovo, ma ogni dolore e ogni piacere e ogni pensiero e sospiro, e ogni indicibilmente piccola e grande cosa della tua vita dovrà fare ritorno a te, e tutte nella stessa sequenza e successione…
(F. W. Nietzsche, "La Gaia Scienza")

Se dovessimo riviverla per tutta l'eternità, questa nostra esistenza, con tutti i suoi fatti, senza poterne cambiare una virgola, come ci sentiremmo? Ogni scelta lega per l'eternità, ogni passo ci vincola per sempre, ci chiama a una responsabilità che si estende all'infinito... così disse anche Milan Kundera nel suo libro più bello... (è da lì che ho dato all'"eterno ritorno" questa interpretazione, elevandolo a mia guida morale, anche se per ora è rimasta una guida quasi solamente teorica ). Guardarmi indietro spesso mi fa male, mi fa pensare che io, questa mia vita, non sarei mai disposta a ripeterla per l'eternità tutta uguale. Ma il tempo corre avanti e non si ferma, né permette inversioni: per fortuna, forse. Apre il futuro di molteplici opportunità ma chiude il passato degli errori, o delle vittorie, fatte, non permettendo revoca né redenzione. E ogni cosa passa. E la ciclicità delle stagioni si avverte anche sulla tavola, non solo nei cambiamenti fisiologici che avvengono in tutti quelli che mi circondano (padre, madre, sorella, cani, gatti, amici etc...), mostrandomi come ineluttabilmente, inesorabilmente, si passa. Tra poco è passato il periodo dell'uva, ma per adesso che ancora si trova voglio lasciarvi questo assaggio dolce... anzi, agrodolce. Una torta salata meravigliosa che ho scovato sul blog Piccole Magie Vegan, fonte di sempre preziose e originali ispirazioni: con una base integrale e una copertura di uva e cipolle. E una spruzzata di peperoncino, innovazione mia, che stempera il dolce degli acini d'uva. Pur nella perplessità, ho deciso di tentare, e che golosa scoperta è stata! In famiglia piace a tutti, ma io ci vado matta.Sarei capace di mangiarmene una intera. In ricordo di quest'autunno che ci va abbandonando, e come riscatto al mio iniziale delirio nostalgico-temporale [pensate un po', per introdurre il fatto che voglio pubblicare la torta perché tra un po' non c'è più uva e sarebbe fuori stagione vi ho annoiata con quel patetico discorso sul tempo, sul passaggio, su Eraclito... Sono un caso irrecuperabile, spero mi scuserete...], vi lascio con un grappolo d'uva e un po' di cipolle, in un connubio forse originale, ma terribilmente godurioso ...            



 
Con questa ricetta partecipo alla raccolta di Anice&CannellaLe nostre migliori ricette del 2009 
  
e alla raccolta di Veronica de La Cucina Deliziosa, Torta salata mon amour






nb: Fiera delle mie accresciute capacità informatiche, sono contenta di annunciarvi la presenza, appena sotto il titolo del blog, del link che rimanda all'indice delle ricette, organizzate in maniera più o meno ordinata. Ringrazio di cuore Micaela del Criceto Goloso per avermi esposto chiaramente, nel commento al post su Eluana Englaro del 13 novembre, come fare...Grazie cara, sei stata gentilissima! E chiusa la parentesi, vi auguro una buona sbirciata alla ricetta.      
       
Vola il tempo lo sai che vola e va, 
forse non ce ne accorgiamo
ma più ancora del tempo che non ha età,
siamo noi che ce ne andiamo
(Fabrizio de André: "Valzer per un amore")      



        
Torta salata con cipolle e uva bianca profumata di peperoncino
 
 


venerdì 13 novembre 2009

L'Espresso: "Eluana. La verità".

Pubblicato ieri sull'"Espresso" a commento dei risultati degli esami dell'encefalo di Eluana Englaro; che ha mostrato cose ovvie, forse scontate, ma che molti, accecati dal dogmatismo, dalla speranza, dalla rabbia, dal rifiuto, dall'interesse, hanno voluto e hanno continuato a negare.

  "Papà, promettimi che se capitasse a me, tu mi libererai".

E adesso, Eluana, libera anche dalle illusioni, dalle speranze, dalle menzogne, dalle ipocrisie di chi affermava la possibilità che potessi, per un qualche inspiegabile miracolo, risvegliarti... 


Eluana, la verità

di Tommaso Cerno

La giovane aveva subito 'un danno irreversibile'. I risultati della perizia encefalica sgombrano ogni dubbio. E chiudono la porta alle polemiche



Eluana non poteva risvegliarsi. No, sarebbe rimasta per sempre prigioniera nelle tenebre del suo stato vegetativo persistente. La miracolosa ripresa che in molti hanno teorizzato, alla tv e sui giornali, non era possibile. Almeno non per la scienza. Ora si sa. Già quella notte del gennaio 1992, quando sbandò con l'auto sul ghiaccio tornando da una festa fra amici, Eluana subì un "danno irreversibile". Non sono più gli avvocati della famiglia Englaro ad affermarlo. E non sono i medici che l'hanno presa in cura per 17 anni a mostrare diagnosi tutte concordi nel confermare che non ci fossero speranze. Stavolta a dircelo è proprio lei, Eluana Englaro. Con l'unico, tragico messaggio che il suo cervello di ragazza, diventata donna senza saperlo, ha potuto trasmetterci dopo lo schianto. Parla attraverso gli esami encefalici, l'ulteriore indagine disposta a maggio dalla Procura di Udine per sgombrare ogni dubbio sulla morte del 9 febbraio alla clinica La Quiete. Dopo cinque mesi la perizia è pronta. Mette d'accordo tutti: i neurologi incaricati Fabrizio Tagliavini, primario al Carlo Besta di Milano, e Raffaele De Caro, docente all'Università di Padova; i periti di parte, Stefano Pizzolitto e Felice Giangaspero; così come gli esperti della Procura friulana guidati da Carlo Moreschi.
 La relazione finale sarà consegnata in questi giorni al procuratore capo Antonio Biancardi. Ma l'ultimo incontro a Padova ha scandagliato tutto: lesioni, atrofie, danni al talamo, al corpo calloso, ai due emisferi. Una miriade di paroloni medico-legali che confermano una semplice e drammatica verità: "I danni neuropatologici osservati sono morfologicamente irreversibili", rivela a 'L'espresso' chi quegli esami li ha condotti e studiati. Vuol dire che quel cervello non poteva guarire. E che Eluana non poteva riemergere dal suo stato vegetale, smentendo così scienziati, giuristi, sacerdoti e onorevoli che giuravano il contrario. Il premier Berlusconi in testa.

È l'ultimo tassello di una storia che ha spaccato l'Italia, infiammato lo scontro fra governo e Quirinale, riaperto la ferita fra laici e cattolici. Un documento che va a sommarsi alle migliaia di altre pagine, già nelle mani dei magistrati. Perizie, diagnosi, cartelle cliniche, richieste di ricovero, verbali del Nas e dell'Asl, che dicono tutti la stessa cosa: Eluana era lì, ma non c'era davvero. Non rispondeva al dolore, non percepiva le presenze attorno. Non aveva caldo, né freddo. Mancava solo una cosa. Rispondere alla domanda più importante: c'era o no una luce in fondo a quel tunnel?

È su questo aspetto che lo scontro è stato più duro. Le accuse piovute su Amato De Monte, l'anestesista che staccò il sondino, furono pesantissime. L'hanno apostrofato come "boia", accusato di "uccidere una persona cosciente, che poteva riaprire gli occhi da un momento all'altro". Quando Beppino andò per l'ultima volta da sua figlia in Friuli, si trovò di fronte uno striscione gigantesco: "Assassino!". Tutto mentre una tenda bianca impediva ai fotografi di profanare la stanza di Eluana. Il neurologo Gianluigi Gigli parlò di "persona dal corpo resistente, che non ha mai avuto bisogno di farmaci particolari". Senza mai averla visitata. E quando le prescrizioni ne elencano a bizzeffe, somministrati per anni: Dintoina, Pantopan, Supradyn, Adalat, Ciproxin, Norvasc. Giuliano Dolce, anche lui medico, vide Eluana a Lecco e spiegò che "alcune funzioni restavano, in particolare la deglutizione". Un'eventualità negata dalle stesse suore misericordine che l'accudirono dal 1994. Berlusconi si spinse a ipotizzare che potesse "generare un figlio, in uno stato vegetativo che potrebbe variare, come diverse volte si è visto".  
Il ministro Angelino Alfano dichiarò che era "morta per sentenza", perché quella donna in fondo stava bene.

Nulla di tutto questo trova più conferme. Né nel diario clinico degli ultimi giorni trascorsi a Udine o nell'autopsia di febbraio, e neppure adesso negli esami dell'encefalo. Benché non possano trattare le funzioni vitali di Eluana, essendo eseguiti dopo la morte, studiano l'entità dei danni morfologici. E da quelle analisi giunge una seconda, importante conferma. La situazione del cervello era "coerente con lo stato vegetativo persistente". Fin dal primo giorno, dal ricovero in terapia intensiva il 18 gennaio 1992, con la diagnosi di "coma e paraplegia in trauma cranico midollare". Così è stato sempre, anche quando aveva ripreso a respirare senza le macchine. Durante gli anni trascorsi all'istituto Beato Luigi Talamoni, e dopo l'arrivo a Udine, lo scorso 3 febbraio, nella stanza isolata e protetta che avrebbe ospitato il suo ultimo viaggio. Come dicono le carte, era un corpo vuoto. Una prigione, appunto, come ha ripetuto papà Beppino, convinto che sua figlia non avrebbe mai accettato quelle terapie, e pronto a rispettare la promessa che le aveva fatto quando uno dei più cari amici di Eluana finì in un letto di ospedale, con un sondino nello stomaco, immobile come un vegetale: "Papà, promettimi che se capitasse a me, tu mi libererai".

Forse, stavolta, l'incrocio di tutte queste analisi basterà a chiudere il caso. E ad archiviare l'indagine per omicidio che ancora pende su papà Beppino e sul primario De Monte. L'avvocato Giuseppe Campeis lavora alla memoria con cui chiederà al tribunale di far cadere le accuse. Ora che Eluana riposa a Paluzza e che cresce il dossier delle cause civili per danni contro chi attaccò ingiustamente, disse menzogne, parlò senza conoscere i fatti. I proventi andranno tutti alla fondazione Per Eluana, formalizzata lo scorso lunedì. "Vogliamo batterci fino in fondo per il biotestamento, perché una vicenda come quella di mia figlia non si ripeta", dice Englaro. Che la parola fine non la conosce più. 

(12 novembre 2009) 










PAROLE AL VENTO




Gianluigi Gigli
neurologo
"Allo stato questa tragica soluzione appare inspiegabile per una persona giovane, dal corpo resistente, che non ha mai avuto bisogno di farmaci particolari. Siamo al cospetto di una lordura senza limiti. Sappiamo che per 15 anni nella clinica non prendeva nemmeno le aspirine. Di cosa è capace questa cultura della morte?". 

Silvio Berlusconi
premier
"Secondo la mia personale coscienza, dovevamo produrre ogni sforzo nelle nostre possibilità per evitare la morte di una persona che è in pericolo di vita e che non è in morte cerebrale ma che è una persona che respira in modo autonomo, una persona viva, le cui cellule cerebrali sono vive e mandano anche segnali elettrici, una persona che potrebbe anche in ipotesi generare un figlio in uno stato vegetativo che potrebbe variare, come diverse volte si è visto". 

Eugenia Roccella
sottosegretario Salute
"Non è il padre di Eluana il depositario delle sue volontà. Eluana è una persona viva, di cui non sappiamo se abbia coscienza. Non è un vegetale. Mi colpisce che il papà di Eluana abbia parlato di violenza terapeutica, perché ho visto come le suore accudivano questa donna".

Gabriella Carlucci
parlamentare Pdl
"Eluana Englaro è stata condannata a morte da una sentenza e il boia di Udine si è affrettato a eseguirla". 

Paola Binetti
parlamentare Pd
"Se la sentenza fosse applicata ci troveremmo davanti a un evento irrevocabile: l'unico evento irrevocabile della nostra vita, la morte di una persona innocente, che dorme serenamente nella speranza mai spenta di potersi un giorno risvegliare".


Cardinale Javier Lozano Barragan
"Abbiamo un comandamento, il quinto, che dice di non uccidere. Chi uccide un innocente commette un omicidio e questo è chiaro. Se Beppino Englaro ha ammazzato la figlia Eluana allora è un omicida".

domenica 8 novembre 2009

La crostata di mele e mandorle è di Adriano Continisio


Perché oggi 8 novembre 2009 molti food bloggers e forumisti pubblicano in contemporanea questa ricetta?


Per solidarietà con Adriano Continisio che l'ha inventata e pubblicata sul suo blog giù nel 2007.


Riassumendolo in pochissime parole, questa manifestazione vuole porre l'attenzione prima di tutto sulla necessità di un comportamento corretto per chi usa la rete nei confronti di chi pubblica materiale. Spesso si sceglie di mettere a disposizione il proprio materiale o lavoro con una licenza che permette di usarlo a condizione che se ne citi la fonte e questo è già un dono, a nostro avviso. Si dice a chi legge: puoi gratuitamente utilizzare il materiale, puoi prenderlo, ma devi specificare che è mio e dire dove l'hai preso. Non è chiedere molto!
Altra importante condizione è che il materiale non venga usato a scopo di lucro.
Quando tutte e due le condizioni non vengono rispettate è evidente che la cosa è ancor più grave.

Questa volta è capitato ad Adriano, ma nel tempo è già capitato ad altri. Creare un tam tam è forse il primo di tanti passi per avversare il fenomeno, perciò ci siamo uniti e oggi pubblichiamo con il nome del suo autore la ricetta e la foto della crostata che ognuno di noi ha preparato.

E' ora che tutti sappiano di chi è la farina e pure il sacco!!!!!



La crostata di mele e mandorle di Adriano Continisio


Ingredienti (per uno stampo di 26 cm)
  • 400 g pasta frolla
  • 4 mele grandi (circa 600 g al netto degli scarti)
  • 80 g di zucchero
  • 4 cucchiai di amaretto di saronno
  • succo di mezzo limone
  • poca cannella in polver
Per la massa di mandorle
  • 120 g uova intere
  • 60 g zucchero
  • 50 g farina di mandorle
  • 15 g farina di mais fioretto
  • 15 g di fecola
  • un pizzico di sale
  • estratto di mandorle
  • una manciata di mandorle a lamelle
  • sciroppo di zucchero
  • marmellata di albicocche
Procedimento  
Saltare a fiamma alta le mele sbucciate e tagliate a cubetti, miscelate con il succo di limone e lo zucchero, fino a che non risultino asciutte ma non spappolate. Incorporare il liquore e la cannella e lasciare raffreddare.
Foderare uno stampo da 26 cm e cuocere in bianco per 15 minuti (i primi 10 con carta da forno e riso). 
Nel frattempo montare le uova con lo zucchero ed il sale, incorporare delicatamente le polveri e poche gocce di estratto.
Pennellare la frolla con poca marmellata, versare le mele, coprire con la massa e cospargere con le mandorle a filetti.
Cuocere in forno a 170° C per circa 20 minuti.
All'uscita dal forno lucidare con sciroppo a 30°be.


Pubblicato da Adriano domenica 23 settembre 2007 alle 9.02


Per chi non conosce l'antefatto la storia è su Profumo di Lievito, il blog di Adriano


Dal post di Adriano i seguenti chiarimenti sul dolce:
Quanto conservare la crostata?
Adriano: la marmellata fa da parziale barriera, ma la frolla tende ed assorbire l'umido delle mele. Una giornata regge. La farcia è morbida e la copertura inizialmente croccante, poi si ammorbidisce. 


Come ottenere lo sciroppo a 30° be per lucidare la torta?
Adriano: per lo sciroppo: versare 100 gr di acqua in un pentolino, aggiungere 135 gr di zucchero semolato, portare ad ebollizione, poi lascia reffreddare. 


Le uova come sono pesate?
Adriano: le uova vanno pesate senza guscio.




* Per la pasta frolla
Adriano: la mia ricetta è questa, dividete per 4 o 5

- 1000 g farina 0 biscotto (in alternativa 900 g 00 e 100 g fecola di patate)
- 500 g burro appena morbido
- 250 g zucchero a velo (200 se utilizziamo il miele)
- 200 g uova intere (oppure 150 gr uova e 50 gr di miele d’acacia se vogliamo una frolla morbida)
- 6 g di sale sciolto in 20 g di succo di limone
- 6 g di lievito istantaneo (se utilizziamo farina normale)
- zeste grattugiate di un limone
- 1 cucchiaino di essenza di vaniglia
Per delucidazioni e ulteriori suggerimenti consultate la Pasta Frolla Perfetta di Adriano.






Confessioni ed impressioni di Giulia

Giulia al confessionale (debiti e variazioni sul tema) 
  1.  Cominciamo dal principio: questa ricetta era al di là delle mie effettive capacità. Se non fosse stato per mia madre, che mi ha dato un valido supporto morale e teorico (e anche un certo ausilio pratico), non so se sarei riuscita a fare la torta. La ringrazio anche pubblicamente, qui, e perché non mi crediate più capace di quanto in effetti non sono... Mi ripropongo tuttavia di rifare a breve questa torta, senza l'aiuto, teorico o pratico che sia, di nessuno.
  2. Non ho usato la pasta frolla perfetta di Adriano, ma la pasta frolla all'olio e senza uova che ultimamente prepariamo in casa, e che ho utilizzato molto volentieri anche qui dati i miei problemi di colesterolo alto (così giovane, pensate, e già col colesterolo alto... pur non mangiando carne, né rossa né bianca, e pochissimi grassi animali... ). Importata da Frency83 del Ricettario di Bianca, mi propongo di condividere a breve anche qui la ricetta, perché è un'alternativa decisamente interessante... 
  3. Sempre riguardo alla pasta frolla: ne ho preparati 300 grammi e non 400 come indicato nella ricetta. Infatti in casa non possiedo uno stampo da 26 cm ma solo uno da 24, e per quello 300 grammi di pasta frolla son più che sufficienti.
  4. Essendo sprovvista dell'Amaretto di Saronno ho usato l'unico superalcolico presente in casa: invece di 4 cucchiai di Amaretto, ho aggiunto al composto di mele 3 cucchiai di Baiyle's (crema di whisky) [ingrediente nocivo e dannoso per il mio colesterolo, lo so... ma per una volta ci son passata sopra ]
  5. Non ho usato lo sciroppo a 30° be per spennellare, ma un paio di cucchiai di marmellata di albicocche scaldati con qualche cucchiaio d'acqua. 

 Giulia e considerazioni varie: Che poi è una sola impressione, nata dalla constatazione che questa torta è maledettamente buona
I miei ringraziamenti ad Adriano che l'ha postata, perché mi ha fatto scoprire una ricettina un po' laboriosa ma senza dubbio gustosissima. 
L'ho preparata venerdì e oggi, domenica, è già finita. 
Da un punto di vista puramente egoistico, del tutto avulso da un set di principi morali relativi alla correttezza, all'onestà, al reciproco rispetto, devo a malincuore, quasi, essere grata a questa spiacevolissima situazione di plagio... perché, se non ci fosse stata, non avrei mai scoperto la crostata di Adriano o, se l'avessi fatta, non avrei mai e poi mai carezzato l'idea di provarla. In un certo senso, questo può dimostrare come, da un certo punto di vista, da ogni disgrazia può nascere , eventualmente, qualcosa di positivo... ("dal letame nascono i fior", come già disse quel poeta/cantautore di Fabrizio de André)



 


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