"Perché una realtà non ci fu data e non c'è; ma dobbiamo farcela noi, se vogliamo essere; e non sarà mai una per sempre, ma di continuo e infinitamente mutabile"

(Luigi Pirandello)

giovedì 25 febbraio 2010

E alla fine fui dottoressa... sulle briciole dei ricordi di questi cinque anni che mi hanno portato alla laurea, una ricetta di briciole di pane, la pasta con pomodoro, mandorle e (appunto) briciole di pane

Ebbene sì, cari miei, avete letto bene... anche questo è successo... venerdì 19 febbraio - cioè quasi una settimana fa - ho discusso la tesi in commissione di laurea, conseguendo così il diploma di laurea e il titolo di dottoressa in filosofia e forme del sapere.
La fine e l'inizio in un solo gesto, in un solo atto. La fine della mia carriera universitaria e l'inizio di un'esistenza nuova, inedita, originale, mia. Come una serie di "sentieri che si biforcano" (mi perdoni Borges per l'uso, probabilmente inappropriato della sua espressione) adesso ho di fronte solo tante possibilità. Quasi tutte naufragheranno, una o poche saranno quelle imboccate...
E' in ogni caso un traguardo che fa pensare. E' interessante perché proietta sia in avanti - verso ciò che potrò realizzare nell'avvenire - che indietro - verso ciò che ho fatto e che mi ha condotto venerdì 19 febbraio 2010 alle ore 17 e qualcosa a discutere una tesi dal titolo "Ambiente e perfezionamento del carattere". E' una curiosa "epistemologia della fine" , una fine che genera speranza, rimpianto, consapevolezza di non essere ancora abbastanza.
Adesso non ho più scuse per prendermi tutte le mie responsabilità. Adesso un'epoca, quella universitaria, è chiusa, con quello che di bello e di brutto che mi ha dato.
Ricorderò certamento il 19 febbraio 2010 come il giorno della fine, sì, come la data che ha segnato il mio ingresso in un "altro mondo" ('altro' perchè a me quasi sconosciuto )... ma anche come il giorno del mio trionfo, intellettuale, professionale, morale, estetico.
Ero emozionata in maniera asfissiante, inusuale, da giorni. E l'emozione è trapelata, forse anche troppo, me l'ha detto in confidenza il relatore. Ma ho sostenuto la discussione, che pure non si è sviluppata e approfondita come mi ero immaginata e come mi sarebbe piaciuto, in maniera dignitosa, a tutti i livelli.
La discussione, dicevo, non si è accesa, anche perché il presidente di Commissione aveva l'appello di esame e aveva fretta di andarsene. E che la qualità del dibattito, di fronte alle sue esigenze, se ne vada pure a farsi fottere!
Però sono piuttosto soddisfatta. E' stato meraviglioso sentire il motto "dichiaro dottoressa in Filosofia e Forme del Sapere con il voto di 110 e lode" e sapere che ce l'ho fatta... che l'ho raggiunto, nonostante tutte le difficoltà i problemi gli scoraggiamenti i pianti e le strette al cuore e allo stomaco, questo punto di arrivo e di inizio insieme. Nonostante tutto, non ce la faccio, per una volta, a non essere fiera di me stessa (e credeteci che per me è quasi impossibile essere fiera, o contenta, di me...)... anche se questo ha fatto sì che le interazioni che intrattengo con gli altri si modulassero tutte secondo un'inquietante refrain, dal momento che si articolano secondo una sequenza che ha come tesi l'imbarazzante "Complimenti, sei stata davvero veloce/brava etc", come antitesi il terribile "E adesso cosa pensi di fare?", e non ha sintesi... una triade imperfetta, con buona pace di Hegel .
E in questa settimana ho provato a fare una mia sintesi mentale... a chiudere la triade, quanto meno in termini teorici (la pratica la rimando, come sempre )... a raccogliere e osservare le briciole del mio passato, e le polverose costellazioni del mio futuro (domani ho il mio primo "colloquio" di lavoro per una collaborazione di traduttrice presso una casa editrice!  ). Adesso che il mio presente è di sospensione, di attesa, di ricerca, non ce la faccio a non contemplare gli sprazzi di "allora" e di "poi" che mi precedono e che mi seguono e di cui il mio titolo di laurea rappresenta il fulcro, il punto di incontro.
Ricordi, speranze, appigli, rimpianti, nostalgie.
A sprazzi, come frammenti, come briciole.
E di briciole, anche, parla la ricetta che vi vado a proporre oggi. Non si tratta ovviamente di briciole di ricordi o di speranze, di briciole di me, di briciole di vita... ma di briciole di pane... o ancora più che briciole, cubetti di pane raffermo fatto soffriggere fino a renderli croccanti.
L'ho scovata a novembre del 2009 perché mi sarebbe piaciuto partecipare ad un contest, o una raccolta, non ricordo, in cui si doveva proporre una ricetta "briciolosa"... e pur non riuscendo a parteciparvi (più che altro per pigrizia e perché non avevo voglia di sperimentare una nuova ricetta, che ho fatto solo mesi dopo), avevo trovato questa.
E' un piatto di pasta, di saporita pasta al pomodoro impreziosita con le croccanti briciole e con una spolverata di mandorle. Così posta, sembra un'inutile banalità, e forse lo è... ma regala al piatto un sapore particolare, diverso dalla solita (e pur sempre e comunque gradissima) pasta al pomodoro!
La ricetta originale prevede l'uso dei paccheri, io ho usato delle semplici penne, e il risultato è stato davvero ottimo, oltre che esteticamente notevole.


Dopo tanta
nebbia
a una
a una
si svelano
le stelle.
Respiro
il fresco
che mi lascia
il colore
del cielo.


Mi riconosco immagine
passeggera.
Presa in un giro
immortale.
(Giuseppe Ungaretti: "L'Allegria")


Pasta con pomodoro, mandorle e briciole di pane


martedì 9 febbraio 2010

Variando sul già visto e un contest "da leccarsi le dita" e i baffi... con una divagazione pseudo-letteraria sulla peluria "sopra labiale" (e un'appendice finale su Eluana Englaro)

Torno già a massacrarvi con le mie insosteibili masticazioni di ingredienti e concetti... non son mica uno strano ibrido di "cuoca" e "filosofa" (o che aspira ad essere sia l'una che l'altra) per caso! 
Lo strano tempo libero- o comunque la quantità di tempo disoccupato, superiore a quello occupato che consiste nel vagar per negozi in cerca di impiego e nel rileggere con una certa riluttanza le 135 pagine di tesi - mi permette di aggiornare così rapidamente il blog... Lascio passare un po' di giorni solo per lusingare la mia vanità e per leggere i commenti che ogni tanto arrivano ...
... ogni traccia di voi che lasciate sul mio blog mi rende davvero felice, e mi piace potermene accumulare un po' per ogni post...
La pausa dovuta al mio essere "nullafacente" mi permette inoltre di dedicarmi ad uno dei piaceri negli ultimi anni di studio intenso ingiustamente trascurato... la lettura. Ho amato leggere da sempre; i libri hanno accompagnato la mia esistenza in ogni mia epoca, tranne forse nel periodo che precede il mio imparare a camminare e a parlare. Le fiabe e le storie lette dai miei genitori (ricordo ancora con affetto una raccolta di storie di animali e la mia storia preferita, che pretendevo che i miei mi leggessero ogni volta, quella e non altre!), le figure di "Topolino" studiate nei minimi termini nell'oretta dedicata al riposino alla scuola moderna (mi sono sempre opposta a questa pratica della dormita post-pranzo, e la passavo nella pratica di pseudo-lettura di guardare le figure del giornaletto), e libri di Bianca Pitzorno letti i primi anni delle elementari... da quando ho memoria i libri ci sono sempre stati.
L'università me ne ha fatti conoscere di nuovi, di altri, ma mi ha privato spesso del tempo e delle energie per leggerli... Non che abbia smesso di leggere libri di svago, ovviamente; ma non ho più avuto il ritmo di un tempo.
Da anni giacciono sul comodino libri che mi sono ripromessa di leggere e che col passare del tempo, invece di diminuire, aumentano. Una delle mie "promesse di lettura", cioè quei libri che prima o poi dovrò ASSOLUTAMENTE leggere, è Guerra e Pace di Lev Tolstoj; un libro di tale risonanza che, anche solo per sentito dire, è conosciuto da tutti. Nel 2005 o nel 2006 Guerra e Pace l'avevo anche cominciato, e letto per una parte (non poche pagine, anche se nella grandezza del tomo rappresentavano un niente), e mi aveva davvero incantato; ma urgenze di studio, letture per gli esami e per la tesi me l'avevano fatta lasciare. 
E non l'ho più ripresa... 
Ma di quel poco che ho letto (155 pagine su 1565... ) ricordo bene - a parte il picere e la meraviglia stessa del testo- l'impressione che mi fece e il sorrisetto che mi fece sorgere la descrizione della principessa Bolkònskaja, "considerata la più seducente donna di Pietroburgo", il cui labbro superiore era coperto da "una lievissima peluria scura"... c ioè da baffetti scuri, quelli che noi donne del XX secolo, una volta che ne constatiamo la presenza, combattiamo strenuamente con cerette o creme che schiriscono. Mi fece sorridere perché mi sembrava strano che una donna "baffuta", o di cui comunque si mettesse in evidenza la presenza di peluria sopra il labbro, potesse essere considerata seducente, bella, bellissima...
Questo mi aveva fatto, e mi fa ancora, pensare, alla non assolutezza dei nostri giudizi sul bello... sul bello estetico, ovvio, ma anche sul "bello morale", cioè su ciò che consideriamo buono. E' interessante come vale spesso, nel nostro pensare, il καλός καί αγαθός di greca memoria [kalòs kai agathos, il bello e buono (cioè giusto)... fu la prima espressione greca che ho imparato... al liceo, nell'ora di latino, dalla meravigliosa prof. che veniva dal classico e che ci enuncio il "kalòs kai agathos"], il porre un legame tra ciò che è bello e ciò che è buono, giusto, moralmente desiderabile... come se la bellezza fosse indice di bontà...
Ho dato un esame di estetica, anni addietro, e dovrei saperne un po' di più, su questo concetto del "bello"...   
Ricordo di aver letto (non in relazione all'esame di estetica però!) che alcuni tratti sono ritenuti belli, gradevoli, preferibili, per "ragioni evolutive", perché rimandano a fattori che garantiscono meglio di altri la perpetuazione della specie e la sopravvivenza individuale. Ma non tutti i tratti evidentemente... non credo che la peluria scura sopra il labbro superiore, o l'assenza della stessa, possa influire in qualche maniera sulla sopravvivenza della specie o dell'individuo.
E qui cadiamo nella relatività del bello, oltre che del buono, una volta escluse le ataviche tendenze a essere benevoli e ad avere cura dei membri del nostro stesso gruppo, la cui ampiezza varia, e pare estendersi, nel corso della storia evolutiva  (Darwin docet). Il luogo, la cultura, l'organizzazione sociale, influiscono tutte nell'elaborazione di quelle norme tali da stabilire cos'è bello, buono, giusto, sbagliato, in un affascinante ventaglio di diverse, curiose, sconcertanti a volte, concezioni.
E qui ci sta tutta la saggezza popolare dei proverbi, da "il mondo è bello perché è vario" a "paese che vai, usanze che trovi" .
Ma torniamo alla storia dei baffi, perché è questa che collega la mia aspirazione di lettrice di Guerra e Pace con la ricetta che voglio presentarvi adesso, ricetta che già è comparsa qua, anche se sotto un'altra veste e con diverso titolo...  con un certo inopportuno narcisimo, posso sperare l'abbiate anche già provata (e magari perché l'avete vista qua... certo che a fare la foodblogger finisce che mi monto la testa ). Il mio riproporvela sotto nuova veste, e soprattutto in nuovo post, è dovuto al fatto che con questa intendo partecipare al contesto di Eleonora di  dEleciouSly "...da lEccarSi le dita", che nel regolamento prevede la pubblicazione ex novo della ricetta... e così faccio, anche perché, su una base già conosciuta, qui inserisco novità da spiegare  e da appuntare.
E' da qualche tempo che avevo adocchiato il contest di Eleonora e che ragionavo su come e con cosa parteciparvi; ma, e qui veniamo al punto!, fino a pochi giorni fa me l'ero appuntato in testa con il titolo "... da lEccarSi i baffi" ... chissà perché poi...
E al pensiero di mettermi al blog a postare la ricetta per il contest "... da lEccarSi i baffi" mi veniva in mente la descrizione della principessa e dei suoi baffetti scuri. Ed è stato anche questo pensiero a convincermi a estrarre Guerra e Pace dalla libreria e di eleggerlo a mia prossima lettura, una volta finito il libro di Sciascia cui mi sto dedicando attualmente.
E' curiosa la vita, vero? Per un errore mnemonico per cui un contest che si chiama "... da lEccarSi le dita" ha finito per assumere il nome "...da lEccarSi i baffi" (e non me ne voglia Eleonora, si trattava di un errore in piena buona fede )  e per fortuite e inconsce associazioni con l'impressione che mi fece il fatto che l'avvenente principessa avesse i baffi, ho tirato fuori dall'altare dei ricordi (e dalla libreria di casa) un mio antico "progetto libresco". 
Anche la ricetta la tiro fuori da un archivio, quello del blog... è la versatile, leggera e gustosissima, torta al cacao e pere senza grassi aggiunti. In questa versione è senza pere, con l'uso di un miscuglio di caffè e acqua invece di latte, coperta di una gustosa glassa di cioccolato e farcita con una meravigliosa crema al caffé basata sulla crema pasticceria light di Lory di Dolci e Salate Tentazioni. 
L'aggiunta della crema la rende una torta davvero goduriosa, da gustare voluttuosamente fino all'ultima briciola imbevuta di crema... tanto libidinosa che è impossibile non leccarsi le dita (oltre ché i baffi, metaforicamente parlando  )


C'era anche la giovane principessa Bolkònskaja, considerata la più seducente donna di Pietroburgo, sposatasi l'inverno precedente e che ora, essendo incinta, non poteva frequentare i grandi ricevimenti [...] Il suo labbro superiore, ben disegnato e con una lievissima peluria scura, era un po' breve in rapporto ai denti, ma si apriva in modo molto leggiadro e con grazia si allungava verso quello inferiore. Come sempre accade nelle donne seducenti, quel difetto - labbro corto e bocca semiaperta- pareva la sua bellezza particolare, propria a lei .
 (Lev Nikolaevič Tolstoj: "Guerra e Pace")




Torta di cacao e caffé in odore di Crema Light aromatizzata al Caffé



Ingredienti (per uno stampo da 20 cm di diametro)

per la torta
  • 200 g di farina 0
  • 200 g di zucchero semolato
  • 70 g di cacao amaro
  • 1 cucchiaino di cannella
  • 2 cucchiaini di lievito per dolci
  • ½ cucchiaino di bicarbonato
  • la scorza di 1 limone grattugiata
  • un pizzico di sale 
  • 3 tazzine di caffé ristretto + acqua necessaria per arrivare a 350 ml di liquido (ho usato l'acqua e non il latte per non coprire l'aroma del caffè, che già in finale risulta un po' ovattato dalla prepotente arroganza del cioccolato di copertura )
per la crema (io ho usato la dose indicata da Lory, riportata sotto... ma la crema era troppa e me ne è avanzata un po'... per una torta simile penso sia sufficiente fare metà dose)
  • 150 g di albumi
  • 50 g di maizena (o di farina, o di fecola, o di frumina... hanno il ruolo di addensante e, vanno bene tutte, anche se ognuna di queste da' alla crema una caratteristica particolare  come fa notare Lory)
  • 125 g di zucchero
  • 3 tazzine di caffé ristretto + latte necessario per arrivare al peso di 500 g

per la copertura
  • 200 g di cioccolato fondente
  • 6 cucchiai di latte


Procedimento: Preparate anzitutto la torta. Mettete gli ingredienti asciutti (la farina setacciata, lo zucchero, il cacao, il sale, la buccia del limone, la cannella, il bicarbonato e il lievito) in una ciotola e mescolate.
Fate salire il caffé e pesate tre tazzine, aggiungendo acqua fino ad arrivare a 350 ml. (che poi in realtà sono 350 g, a voler essere precisi precisi )
Intiepidite il caffé e l'acqua e unitelo lentamente agli ingredienti asciutti, mescolando con una frista fino ad ottenere un impasto omogeneo, fluido e senza grumi.
Versate nello stampo unto e infarinato e infornato in forno preriscaldato a 180° C per 35-40 minuti (di solito io cuocio per 40 minuti... ma la prossima volta provo per 35 e vedo cosa succede  ).
Lasciate raffreddare e, una volta fredda, dividetela a metà.
Mentre raffredda - o dopo che avete diviso a metà, fate un po' voi- preparate la crema.
Pesate altre tre tazzine di caffé ristretto e aggiungete latte fino ad ottenere il peso di 500 g. Mettetelo a scaldare fino a farlo quasi bollire.
Pesate gli albumi in una pentola dal fondo spesso (infatti poi quella stessa pentola andrà messa sul fuoco) e, usando una frusta, mescolateli con lo zucchero e la maizena. Poi aggiungete il latte molto caldo.
Amalgamate bene e mettete la pentola sul fuoco per qualche minuto, in modo che la crema possa rapprendere e che l'addensante cuocia.
Togliete dal fuoco e fate raffreddare o intiepidire, in modo che la crema sia maneggevole e possa essere usata per farcire la torta. Usando un cucchiaio mettete la crema, nella quantità che più vi aggrada, nella metà inferiore della torta, poi copritela con la parte superiore.
A questo punto non resta che preparare la copertura di cioccolato. Questa è facile ...  sciogliete a bagnomaria i 200 grammi di cioccolato con 5-6 cucchiai di latte, in modo da ottenere una cremina piuttosto densa, non liquida ma non durissima. Deve poter colare lentamente dal cucchiaio e non scivolargli addosso.
Una volta pronta la copertura cioccolatosa fatela colare sulla parte superiore della torta in modo che possa coprirla tutta. Aggiustate, se è il caso (e di solito E' il caso), la copertura sui lati della torta, poi lasciate raffreddare di modo che la copertura si solidifichi.
E' meravigliosa comunque, ma è più gustosa se mangiata il giorno dopo averla preparata, dal momento che tutti i sapori si son potuti amalgamare e diffondere .



.

Quasi in concomitanza con "... da lEccarSi le dita" ho scoperto il premio di beneficenza organizzato da NERONERO.it per Chef Sans Frontières, associazione no profit con lo scopo di recuperare ragazzi di strada e di inserirli nel mondo adulto con l'acquisizione di un mestiere duraturo, sulle migliori ricette a base di caffé. 
La torta cremosa del post era stata ideata per questo concorso qui, ma l'ho trovata così "da leccarsi le dita" che ho dovuto accantonare l'altra torta selezionata per il contest di Eleonora e mettervi questa. La spedirò comunque al concorso, anche per il fatto che è stata "creata" proprio per quello...
Il concorso di NERONERO prevede che le 50 ricette più meritevoli saranno raccolte in un libro il cui ricavato sarà devoluto in beneficenza, al netto delle spese, all'associazione Chefs Sans Frontières per l'insegnamento del mestiere della ristorazione a ragazzi di strada di tutto il mondo.
Per partecipare è necessario inviare una o più ricette all’indirizzo ricetta@neronero.it entro e non oltre il 30 Aprile 2010. La mail deve presentare come oggetto “Premio miglior ricetta”. Le ricette proposte devono essere complete di ingredienti e delle modalità di preparazione; devono prevedere l’utilizzo del caffè.



Premi per le migliori ricette:
• 1° premio: macchina caffè EP 800 / LB 800 (a scelta) + 500 cialde Lavazza;
• 2° premio: buono sconto del 90% sulla macchina caffè LB 800 + 300 cialde Lavazza Blue;
• 3° premio: 300 cialde Espresso Point;
• Per le prime 3 ricette: inserimento nei menu dei ristoranti Chefs Sans Frontières;
• Per le prime 50 ricette: pubblicazione su libro, con ricavato donato in beneficenza.

 I membri della giuria sono, 
• NERONERO Team
• Elga Cappellari di Semidipapavero
• Laura Casaldi di BlogdiCucina
• Laura Gioia di Essenza di Vaniglia
• Sonia Peronaci di GialloZafferano
• Elsa Serpico di Dolcemania


Per informazioni sul concorso, sulle macchine per caffè e cialde lavazza in palio: NERONERO.it
Per informazioni sulla associazione no-profit cui saranno devoluti i ricavati: Chefs Sans Frontières















martedì 2 febbraio 2010

Laurea specialistica: la fine di un orizzonte, o l'inizio di un altro? Una riflessione e un risotto dagli orizzonti gustativi sconfinati, il risotto con salvia e pere mantecato di yogurt

Due settimane di latitanza... lo so... sono imperdonabile...  però ho una buona giustificazione stavolta , dal momento che ho terminato la tesi, tra ultimi paragrafi, lunghe sedute presso il relatore e accampamenti in segreteria studenti e in copisteria... una faticcaccia che mi ha lasciato al massimo il tempo per respirare  
Ma anche questa adesso è fatta.... devo solo aspettare l'inizio dell'appello e conoscere il giorno della discussione... accordarmi con il relatore e con il contro-relatore... e poi basta... 
Alla velocità di un niente, son già diventata dottoressa magistrale in Filosofia e Forme del Sapere (ridicolo nickname con cui all'Università di Pisa è definito il corso di laurea specialistica in filosofia)... è un titolo che segna davvero la fine di un percorso, di un'era, di una vita, a differenza della laurea triennale che è stata solo un breve intermezzo per tornare dentro al corso di vita universitario.
La laurea magistrale mi rende davvero adulta. Non più studentessa, non più universitaria... ma una donna che non ha più scuse per trarsi fuori dalla vita, dal mondo, dal contesto reale.
Sì, lo so, ho 24 anni e in realtà sono già "donna" da qualche anno ormai... per una pura questione fisiologica... Ma il regno universitario tende a confinare in un mondo a sé, un mondo slegato da quello "reale"... ed è solo adesso, che a quel mondo sono legata solo da un tenue filo (cioé la tesi ancora da discutere, anche se ormai conclusa e consegnata), che mi sento davvero gettata nel mondo "adulto".
E come ogni volta che qualcosa finisce, sorge spontaneo un bilancio, il bilancio dei 5 anni universitari, il bilancio di quello che sono, di quello che sono diventata... o di quello che non sono diventata pur avendone le opportunità... 
A volte penso la vita umana - e forse anche più generalmente la vita animale - come un sentiero che si restringe mano a mano che si procede: si parte da un grande viale fino ad arrivare ad un sentierino stretto e impervio. Uso questa insulsa metafora naturalistica per cercare di rendere l'impressione che mi da' l'evidenza che, mano a mano che passa il tempo, le possibilità aperte si restringono sempre di più, a seconda delle scelte fatte: la scelta del liceo scientifico mi ha già bene o male condizionato il futuro, e la scelta del corso di laurea lo ha fatto ancora di più, chiudendomi possibilità che a 19 anni erano, in quanto potenziali, ancora aperte. 
E aprendomene altre?
E' questo il quesito che mi divora in questi giorni di insolita nullafacenza, in attesa della discussione di laurea... un "far niente" che mi costringe a pensare, a tirare le somme, a cercare di immaginare che in fondo la laurea in filosofia mi ha aperto strade che, prima o poi, mi si sveleranno.
Siamo chiari, la scelta del corso di laurea in filosofia è una delle poche di cui continuo ad essere fiera, che penso riproverei se tornassi indietro, con le dovute e opportune correzioni che splendono soltanto alla luce del "senno di poi", ovviamente... Ma di fronte al vuoto che mi si spalanca, è forte la tentazione di bollare questa scelta come uno sbaglio colossale, di vedere il niente assoluto in questo vuoto e non, ancora, una serie di possibilità che possono concretizzarsi, che possono divenire reali, a seconda della scelta che faccio.
Il sentiero in fondo non è ancora così stretto, niente è ancora così deciso.
Mi scuso per questa parentesi autobiografica, ma in questi giorni non riesco a pensare ad altro se non alla fine della mia "carriera studiosa" e all'inizio della mia nuova, definita, vita... e al fatto che forse, alla fine, essa può riservare solo opportunità positive, in un senso o in un altro. Fa paura prendere responsabilità, fa paura staccarsi definitivamente dall'universo concentrazionario e protetto dell'infanzia... ma il fatto stesso che l'abbia definito così, "concentrazionario", significa che sento il bisogno di staccarmene definitivamente. E il bilancio totale voglio che sia, nel complesso, positivo. Ci sono state cadute in negativo, è indubbio, ma devo e voglio pensare che nel complesso, nella totalità, nella complessività (ho finito i sinonimi ), il bilancio totale sia, alla resa dei conti (altro sinonimo) positivo.
Come positivo è stato - e stavolta completamente, assolutamente, meravigliosamente, senza gradazione alcuna - il bilancio complessivo per questo risotto che posto oggi, scovato da anni su Fiordizucca e realizzato concretamente solo qualche mese fa, con una certa soddisfazione delle papille gustative... La ricetta propone un curioso abbinamento di pere e salvia, e per me che amo sia le une che l'altra è stata una goduria! Rispetto all'originale, presenta una "personalizzazione" nell'uso dello yogurt, invece della crescenza, come grasso per mantecare...
Questo è avvenuto perché i miei problemi di colesterolo alto mi rendevano diffidente di fronte ad ogni uso di formaggi diversi dalla ricotta, dalla mozzarella e dai fiocchi di latte... Ma la "mantecatura allo yogurt" è stata una sperimentazione così ben riuscita, tale da dare al risotto un gusto delicato, leggero e insolito, che l'ho assunta per ogni altro risotto, al posto del burro di solito usato per mantecare.
Come spesso avviene, di necessità si fa (e si è fatto) virtù... (e badate bene che qualcosa ne so, la mia tesi coinvolge l'etica della virtù e in discorsi su cos'è o cosa non è la virtù vi ho sguazzato per mezzo anno


C'è qualcosa di nuovo oggi nel sole,
anzi d'antico: io vivo altrove, e sento
che sono intorno nate le viole.
(Giovanni Pascoli: "Il bordone- L'aquilone")


Partecipo con questa ricetta all''interessantissima raccolta di Rossairlandese de La farina tra le mani: "La frutta nel tuo piatto"





Risotto con salvia e pere mantecato di yogurt



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