Ma spesso l'energia mi abbandona . La vita è così strana, in questo periodo sto scoprendo e mi sto scoprendo in vesti diverse da quelle che credevo, o sto affrontando la me stessa che ero un tempo e che adesso non voglio più essere, comunque non nella misura in cui lo sono stata per anni. L'amore per la cucina resta, il desiderio di empatizzarlo con voi anche, la mia smania riflessiva lo stesso... ma il tempo che riesco a dedicare al blog è, adesso, minimo o quasi nullo.
Questo post mi serve ad annunciarvi formalmente (anche se praticamente ritengo lo abbiate già assodato da più tempo di me) che in questo periodo i miei aggiornamenti al blog saranno radi, rari, più del solito addirittura... potrei saltare mesi e tornare inspiegabilmente e insperatamente a giugno-luglio, come forse potrei aggiornare la settimana prossima (non pongo infatti limiti alla laica provvidenza ). Voglio scrivervi questo per dirvi che se non mi leggerete per un po', sappiate che sono ancora viva, che continuo a cucinare, che Vi penso e penso costantemente a Filosoficamente Sostenibile, sperando che continui ad essere sostenuto con le vostre visite... ma che potrei essere momentaneamente incapace di aggiornare nel mio (tardo, ma sempre gradito) tentativo di capire ed essere davvero me stessa .
Ne approfitto per pubblicare all'istante una ricetta, improvvisata in una tarda mattinata in cui avevo da riflettere su come utilizzare un tozzo di pane secco che avevo estirpato al mio ragazzo per evitare che lo gettasse (pover'uomo... sta capendo solo ultimamente l'indecenza dello spreco di materiali preziosi come il pane e le potenzialità che anche gli avanzi possono offrire ). Da tempo riflettevo sull'opportunità di ideare una ricetta tricolore per il contest di Alex de La cuoca a tempo perso, Una ricetta lunga 150 anni, in cui voglio inserire la ricetta che ho elaborato:
Ho guardato il pane secco che giaceva in una ciotolina, ho idealmente lanciato un'occhiata al mazzo di spinaci che giaceva in frigo e alla barbabietola precotta anch'essa giacente in frigorifero. E ho avuto l'illuminazione .
Certo, a volerci riflettere un po' più attentamente, cosa c'è da festeggiare per questi 150 anni? L'Italia. L'Italia unita che non è sentita davvero, l'Italia che continua a essere spezzata troncata divisa, l'Italia particolarista, l'Italia in cui la questione meridionale non si è davvero ancora risolta, l'Italia che è stata la più grande illusione della mia infanzia... quando per me il Risorgimento era la più grande sommossa popolare della storia dell'umanità, sentito e voluto da tutti e ostacolato solo da quei cattivoni austriaci e della Città del Vaticano, quando l'unità di Italia per me era una certezza comunemente percepita e sentita da tutti. Che delusione a volte che fa crescere e scoprire la verità! Che malinconia di quei tempi, a volte, quando penso alla nazione Italia che esiste geograficamente su carta, esiste giuridicamente e (ahimé) politicamente, ma che non esiste davvero nella testa, nel cuore, nella pelle degli italiani. Non amo il nazionalismo eccessivo, fastidioso, dannoso, pericoloso, adoro la tendenza cosmopolita del sentirsi ovunque un po' a casa e mi piacciono le particolarità regionali, locali, particolarissime. Non è questo che contesto.
Ma mi rendo conto che, effettivamente, il Risorgimento non è mai davvero riuscito... quanto meno non a livello psicologico.
[...] Viva l'Italia, presa a tradimento,
l'Italia assassinata dai giornali e dal cemento,
l'Italia con gli occhi asciutti nella notte scura,
viva l'Italia, l'Italia che non ha paura.
Viva l'Italia, l'Italia che è in mezzo al mare,
l'Italia dimenticata e l'Italia da dimenticare,
l'Italia metà giardino e metà galera,viva l'Italia, l'Italia tutta intera.Viva l'Italia, l'Italia che lavora,l'Italia che si dispera, l'Italia che si innamora,
l'Italia metà dovere e metà fortuna [...]
(Francesco de Gregori: "Viva l'Italia")*
*so che la citazione nega il mio pessimismo finale sul mancato Risorgimento psicologico... ma non sono riuscita a non pensare a questa, a non serbare nel mio intimo, in maniera magari utopica, ancora un po' di speranza