"Perché una realtà non ci fu data e non c'è; ma dobbiamo farcela noi, se vogliamo essere; e non sarà mai una per sempre, ma di continuo e infinitamente mutabile"

(Luigi Pirandello)

sabato 10 marzo 2012

Un pensiero e una speranza di armonia... e una fiaba che la augura, per presentare le Fette Biscottate Bicolori che ricordano ad occhio le Armonie Mulino Bianco. Un'occasione per pensare alla donna. E due contest interessanti.

La cosa brutta di aver sospeso l'attività di blogger per quasi un anno è che ho davvero poche ricette fotografate e archiviate da condividere... anche se ho tante cose da dire....
Marzo è arrivato e con lui un po' di sole, promessa di primavera, di colore, di serenità. Il sole mi ha dato conforto per un po', risollevandomi da tutte le preoccupazioni dovute all'assenza di lavoro (prevalentemente solo a quella, in effetti.... ) e di dovuti stimoli culturali o analoghi.

Ed è anche passato l'8 marzo, con il suo carico di riflessioni e di considerazioni ulteriori che porta con sé; che lo porta per me, ma fortunatamente anche per molte altre (e altri), per le quali ieri è stata più che altro un'occasione per riflettere sulla condizione della donna nel mondo e in Italia, sulle discriminazioni che ancora esistono qui e che trionfano altrove. Pensare alle conquiste fatte e alle molte che ancora ci sono da fare perché, anche se le donne sono tutelate anche a livello legislativo nella "democratica" Repubblica italiana, le discriminazioni, le vessazioni, gli sfruttamenti sono anche qui ancora presenti, sia in ambito lavorativo che personale-affettivo.
Nella nostra nazione le cose vanno indubbiamente molto meglio che in altre, dove alle donne non è riconosciuta nessuna tutela giuridica, nessun riconoscimento morale... Le conquiste che abbiamo avuto nell'ultimo secolo per quanto riguarda il riconoscimento di diritti e tutele devono essere riconosciute e, questo sì, quotidianamente festeggiata.
Ma sottaciuto, silenzioso, penso ci sia sempre un sottile strato discriminatorio, una considerazione differente in termini di riconoscimenti, di valorizzazione dei meriti.... forse non c'è in tutti i contesti, e penso che in determinati contesti culturali, o sociali, sia più sentito di altri. Però è mia idea (e non solo mia) che la parità dei diritti e della considerazione sia ben lungi dall'essere raggiunta....
Citando la frase di Francesca Inaudi su "Venerdì" di "Repubblica" del 2 marzo 2012, secondo cui "l'essere umano, per sua natura, esercita il potere attraverso la violenza". La donna è spesso vittima di questo a causa della sua apparente fragilità e per la minore forza fisica. E questo, forse, è alla base di tutte le violenze, i soprusi, le prepotenze svolti quotidianamente contro le donne, oltre a tutte le costruzioni metafisico-morali da sempre elaborate per sostenerne e dettarne l'inferiorità.
L'8 marzo è, come ho giustamente letto, una "festa a metà", perché anche qui la parte femminile della popolazione è ancora troppo spesso maltrattata, violata, violentata, svilita e discriminata.

Ma non sono qui, oggi, per intristirmi e intristire, ché la realtà è già di per sé abbastanza triste e non è il caso di rimarcarlo, sempre, nei post di un blog che ha la presunzione di definirsi un blog di cucina .
Forse è meglio stemperare un  po' tutto con una fiaba, di mia personale invenzione , per avere un po' l'illusione che a volte esista un completo lieto fine, che il mondo non sia organizzato in tonalità di grigio ma che ci sia, da qualche parte, l'infantile e rassicurante distinzione in bianco e nero.
L'idea della fiaba non è mia, lo ammetto...  Ho scoperto per caso il contest "C'era una volta in cucina" di Mezzaluna, contest che mi ha davvero affascinato, per la mia antica passione per la scrittura.


E pensando e ripensando alle ricette (poche) che avevo da postare e alla novella da allegare, oltre che all'"evento" (la festa della donna) appena passato, ho pensato di abbinare il tutto proponendo le mie Fette biscottate bicolor accompagnate da una fiaba che parli un po', per quel che può, della discriminazione (oltre che del suo contrario).


Ogni volta che una donna permette che qualcuno le dica come deve essere, vestirsi o pensare, annulla se stessa dentro un modello astratto che l'uomo si sente di usare e possedere.
(Francesca Inaudi: "Il Venerdì" di "Repubblica", 2 marzo 2012)




Fette biscottate bicolor con pasta madre (simil-Armonie della Mulino Bianco)


'C'era una volta un regno, il regno di Tabitha, collinare e montagnoso, coperto di rigogliosi boschi floridi e fiorenti. La natura prosperava e come lei gli abitanti del regno, che vivevano per lo più di agricoltura, artigianato e commercio con i regno vicini.
Esisteva un solo sbocco al mare, sul lato  di terra che ospitava la capitale Ediadorth. Nella capitale stessa era presente l'unico porto del regno, teatro di traffici, scambi economici e culturali e incontri con il diverso.
In Ediadorth, che dava sul mare ma abbracciava con lo sguardo anche le montagne, sorgeva il gran palazzo reale, emblema e simbolo della gloria e dello splendore di Tabitha.
Non c'era persona nel globo che non conoscesse, se non altro di nome, il regnante di Tabitha: Abigail. La sua storia aveva percorso il mondo, facendo inorridire, gioire, gongolare o arrabbiare persone di qualunque ceto sociale, sesso o età. Anche in regni lontani chilometri e chilometri da Tabitha, i bambini (e le bambine) ancora giocavano all'ascesa di Abigail, con variazioni più o meno tragiche o comiche.
Nessuno conosceva le origini di Abigail: si narrava fosse giunta anni prima, dal nulla, ad Ediadorth. Indossava abiti maschili usurati ma che un tempo dovevano aver avuto un certo pregio. 
Abiti degni di un nobile o di un re.
Con la lunga spada che portava con sé, aveva sfidato il re allora in carica. Secondo una legge di Tabitha, chiunque fosse capace di battere il re in carica in un duello aveva pieno diritto a succedergli, scavalcando la tradizionale norma dell'ereditarierà di sangue.
A dispetto dell'incredulità della corte e degli spettatori - mai una donna aveva avuto il pensiero di sfidare il re, o l'illusione di poter battere un maschio! - la visitatrice aveva vinto e aveva preso legittimamente il potere. I malcontenti erano stati molti, soprattutto da parte del principe ereditario e dei cortigiani che più gli erano vicini, ma Abigail, adesso Regina, li aveva soffocati nel sangue.
Aveva infatti guadagnato un certo seguito nell'esercito, che accettava in gran parte di obbedirle, forse per un velato senso di ammirazione o per il timore che quella femmina potesse ripagare in maniera ben più atroce di un colpo di spada la loro disobbedienza. I pochi soldati che le si erano opposti erano stati uccisi o condannati all'esilio.
Una volta sedata ogni possibilità di rivolta, la Regina Abigail aveva intrapreso una serie rivoluzionaria di riforme: aveva totalmente emancipato le donne e sottomesso, almeno a livello formale, i maschi. Solo alle donne era stato permesso di accedere alle cariche più elevate, e solo alle donne era permessa la leva. 
Aveva creato una schiera di Ministri donne e un esercito formato di sole femmine, che inizialmente aveva affiancato l'esercito reale che l'aveva aiutata a soffocare le opposizioni e poi l'aveva del tutto sostituito.
Aveva agito sulla mentalità della gente, unendola a una buona dose di violenza, di tortura e di prigione.
Era riuscita a creare il primo stato femminile della storia.
Adesso, dopo quasi due generazioni di regno, la superiorità femminile era ormai dogma acquisito e accettato. Gli uomini dovevano stare a casa, badare ai figli svezzati, alla cucina, alle questioni domestiche.
In alcune famiglie più "illuminate" potevano studiare insieme alle donne. I pargoli nobili avevano l'obbligo di imparare a suonare uno strumento, a danzare, a dipingere e alla letteratura; ma non era loro concesso di farne una professione!
Abigail, ormai invecchiata, era contenta. Aveva creato un nuovo regno, il suo regno, in cui alle donne erano state concesse possibilità mai sperate. Talenti femminili erano sorti, avevano potuto svilupparsi e fiorire.
Tabitha era potente a livello economico, culturale, militare.
Quando sua figlia maggiore, Raika, le fosse successa, avrebbe continuato la sua opera. Si fidava di morire di morte naturale, perché nessuno aveva più avuto il coraggio di sfidarla quando, alla matura età di 55 anni, era stata in grado di battere un giovanotto ardente di 22 anni.
E così, finalmente, il suo sogno si era realizzato. La parità era stata raggiunta.
Così pensava la Regina Abigail, una sera, osservando il tiepido sole primaverile che tramontava in un mare di riflessi, arrossando dolcemente il mare e la città vicina.  Era stata capace di arrivare all'equilibrio. Era stata brava....
'Equilibrio, Abigail?'
La voce, sbucata dal nulla, la fece sobbalzare. La Regina si voltò, guardandosi attorno sospettosa e cercando con lo sguardo la creatura che aveva emesso quei suoni.
Portò la mano alla sua vecchia spada, la stessa che, quasi quarant'anni prima, le aveva permesso di avere il potere.
'Quella spada non ti servirà a nulla, Abigail. E poi, stai guardando dalla parte sbagliata.'
Un raggio di luce iridiscente, dei colori dell'arcobaleno, spuntò all'improvviso, bruciando la pelle della nuca di Abigail. Veniva da fuori.
La Regina si mosse, incerta, non sapendo dove dirigersi, e la luce cominciò a prendere forma. Assunse consistenza.
E in un gioco strano di luci e di ombre, fu un gatto. Un gatto dal manto nero e gli occhi grandi, gialli, intelligenti.
'Sei tu?' chiese Abigail con voce roca, come se avesse riconosciuto qualcuno.
E il gatto parlò. Con una voce femminile, dolce, che ricordò ad Abigail una notte di tanti anni prima.
'Sono io, Abigail. Te l'avevo detto che sarei tornata. Sono passati cinquant'anni da allora. Lo ricordi?'
Abigail parve regredire di decenni. Come non succedeva da anni, trattenne un singulto.
'Te lo ricordi, vero?' rimarcò la gatta - che Abigail sapeva non essere una gatta normale, ma un essere magico, un protettore, una specie di fata madrina. 
L'aria cambiò. Il dolce rosso del tramonto che andava spegnendosi scurì, spargendosi su di loro come mantello di sangue. La stanza del Palazzo Reale scomparve, sostituita da un vicolo buio, isolato, su cui colava l'ondata di sangue del tramonto che sembrava premonizione.
C'era una ragazzina esile, emaciata, che si stringeva addosso i pochi stracci. Portava su di sé evidenti segni di percosse e si mangiucchiava nervosamente le unghie.
Dalla vicina baracca si udivano rumori di botte e grida d'aiuto subito soffocate, mescolate a insulti pronunciati da una bassa voce maschile.
La bambina chiuse gli occhi avvertendo il rumore di uno schiaffo.
E poi un altro, un altro, un altro... Sua madre neppure trovava la forza di urlare, non può e non vuole... suo marito è nel giusto, lo è sempre stato, sempre con lei. E se il suo compagno la picchia, forse può distrarsi dal picchiare o dal toccare la loro unica figlia.
'Avevi voluto giustizia, vero, Abigail?' sussurrò la fata-gatta all'orecchio della Abigail sessantenne. 'Tuo padre aveva picchiato te e tua madre fin da sempre. E per di più, da quando avevi circa nove anni e la tua femminilità aveva cominciato timidamente ad affermarti, aveva iniziato a toccarti in un'altra maniera, che faceva meno male ma che era ugualmente oscena, brutta, triste. 
'Era una cosa schifosa, ti sentivi sporca. E avevi cominciato a preferire di essere picchiata.
'E lo avevi odiato.
'Li avevi odiati tutti, vero?, Abigail... gli uomini. Maneschi, violenti, prepotenti come tuo padre. Schifosi come lui, come lui osceni e degni solo di disprezzo, al massimo di paura. Quegli uomini, che non ti permettevano di fuggire davvero da casa tua, di costruirti un avvenire lontano da quel porco di tuo padre. Nessuno ti voleva a lavorare, in quanto donna.'
'Poi sei arrivata tu' mormorò l'Abigail Regina, osservando il ricordo di se stessa undicenne. 'E mi hai insegnato a combattere. Mi hai regalato la spada. Vedevi la fiamma nel mio sguardo, sapevi...'
'Sapevo che saresti stata capace di fare tante cose, Abigail. Vedevo che eri stufa dei soprusi che subivi tu, che subivano le altre ragazze come te.... tutte le discriminazioni cui eravate condannate. E ce l'hai fatta Abigail' La gatta sembrò prendere fiato a lungo. 'Ce l'hai fatta. A metà.'
'A metà?!' insorse la Regina Abigail, facendo retrocedere la scena alla sua amata, presente, sicura, stanza del Palazzo. 'Ma l'hai visto che cos'ho fatto? Dove le ho portate? Cosa ho fatto scoprire...'
'Perdendoti l'altra metà del tutto' replicò la gatta. 'Alla ricerca di giustizia, quanta ingiustizia hai portato, Abigail? E non solo in termini dei morti, dei condannati, degli esiliati... sia uomini che donne, creature che cercavano un modo alternativo di essere. Parlo di questo, certo, ma anche delle possibilità negate, delle prepotenze inferte. Dei talenti che hai sotterrato, mentre nei scoprivi altri. Hai portato in superficie la metà sommersa... ma la tua non è parità, perché non hai permesso che l'altra restasse in superficie.' La gatta la guardò a lungo negli occhi, uno sguardo che da giallo si fece gradualmente verde. 'Siete due metà necessarie e compatibili. L'una non avrebbe senso senza l'altra. Siete due metà che devono procedere in armonia, in parità, in equità. I meriti devono prevalere, non il genere. E l'armonia...'
'Gli uomini non vogliono armonia!' replicò Abigail. 'Farebbero tutto male, di nuovo.'
'Neppure tu hai fatto bene, cara. Dovete imparare a convivere senza che nessuno voglia, o possa, infierire sull'altro. Sarà difficile, perché l'essere umano è una creatura difficile. Ma tu hai fatto tanto. Potrai cominciare anche questo.'
'Io sono vecchia.' replicò la Regina, quasi in lacrime.
'Pensaci, cara. Pensaci e basta.' Con un suggerimento di luci e uno spolverio di stelle, la gatta scomparve.
La Regina Abigail non chiuse occhio tutta la notte. Doveva pensare e ricordare.
Di mattina presto mandò a chiamare Raika e la tenne a parlare per un sacco di tempo, quasi due giorni. Poi lasciò la sua carica di regnante e la passò alla figlia che, alla giovane età di 25 anni, divenne Regina. 
La politica di Raika fu completamente diversa da quella della madre, e nessuno arrivò mai a sospettare che fosse stata ispirata da lei. Concesse stesse possibilità a donne e uomini, nel corpo militare, in quello diplomatico, mercantile e di corte; diede a tutti la stessa possibilità di studiare e di coltivare il proprio talento. Fu prudente ad agire su una mentalità già da troppo poco tempo violentata.
Pose le basi per quell'armonia giusta e sana di generi diversi, che un po' ricorda queste....'





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